«La mia vita era bellissima». Un velo di malinconia attraversa il volto di Maria Kracova mentre ripensa ai giorni felici in Ucraina prima dell’invasione russa. La incontro a Limosano, dove vivono Emilio e Marcella, la coppia che le ha aperto le porte di casa per la prima volta nel 2006 quando aveva appena cinque anni. Arrivava da un piccolo paese non lontano da Cernobyl e attraverso un’associazione campana era giunta in Italia per trascorrere un ‘soggiorno di risanamento’. La solidarietà tra Molise e Ucraina ha una lunga storia alle spalle iniziata subito dopo l’esplosione del quarto reattore nella centrale nucleare e durata nel tempo. Un filo che non si è mai spezzato con i piccoli ospiti che sono diventati parte integrante della famiglia che li ha accolti.
«Maria è la nostra prima figlia», mi dice Marcella al telefono mentre concordo ora e luogo della chiacchierata con la giovane che in Molise è tornata tutte le estati e per alcuni anni ha trascorso a Limosano anche il Natale.
«Sono nata il 6 gennaio e per quattro volte ho festeggiato il mio compleanno qui», mi dice subito la giovane in un italiano perfetto. Marcella non c’è, insegna in una scuola media. I figli di 14 e 9 anni pure. Emilio invece è libero dagli impegni lavorativi ed è lui che mi accompagna nell’abitazione del centro storico dove Maria si sente a casa e finalmente al sicuro. Tutto ciò che la circonda le è familiare. Con lei ci sono anche la mamma, la sorellina di 4 anni e il cagnolino Hugo. E poi la gente del posto che la conosce fin da quando era piccola.
Oggi Maria è una bellissima ragazza di 21 anni che studia odontoiatria. Prima dell’invasione faceva l’assistente in uno studio dentistico, nel pomeriggio lavorava anche in un centro benessere perché la medicina estetica resta il suo pallino. Da due anni convive con Yarosalv con il quale aveva progettato il matrimonio. Poi è arrivata la guerra. E ora, come tutto il popolo ucraino, vive in un tempo sospeso. E dire che a questo maledetto conflitto armato nessuno credeva.
«La mattina del 24 febbraio – racconta la giovane – siamo stati svegliati dall’azienda americana per cui lavora il mio fidanzato, ci dicevano di scappare perché era imminente un attacco militare della Russia. Erano le 4 di notte, non ci abbiamo dato peso, anzi la cosa ci ha fatto sorridere tant’è che ci siamo messi a dormire di nuovo. Poche ore più tardi sono cominciati ad arrivare i messaggi sul telefono che ci avvertivano dell’invasione».
Da quel momento per Maria inizia un vero e proprio incubo. Ma la sensazione è ancora quella di non avvertire propriamente il pericolo, né il disastro che di lì a poco si sarebbe consumato senza più soluzione di continuità.
Alle 7 di mattina la telefonata della mamma la scuote. «Lei abita a 20 minuti da me, mi dice di preparare poche cose che sta per venirmi a prendere il marito». Ignara di quello che sta per succedere, Maria afferra le prime cose che le passano per la testa, un po’ di prodotti alimentari, poi apre l’armadio e prende due magliette e due pantaloni, infine «metto dentro la valigia i trucchi, shampoo e creme per i capelli e per il viso ed esco di fretta senza nemmeno vestirmi, con il pigiama addosso». Fuori le strade sono già invase dalle auto, c’è una marea di gente che scappa senza sapere dove andare. Le linee telefoniche non funzionano, si comunica solo su Telegram e Whatsapp. La famiglia di Maria si dirige verso casa del nonno a Borodianka, un piccolo paesino a una cinquantina di chilometri da Cernobyl, il luogo dove lei è nata e che si pensa sia più sicuro proprio per le sue dimensioni: se vogliono bombardare prendono di mira le grandi città, i villaggi li lasceranno perdere.
E invece. «Siamo tranquilli fino a sera, chiacchierando e guardando la tv» racconta Maria.
Ma è solo una calma apparente prima del finimondo. Le bombe cadono dapprima sull’aeroporto, dalle finestre di casa del nonno oltre al fumo si vedono i carri armati dei russi. Il paesino considerato fuori dalle rotte dell’esercito di Putin, che sta avanzando con la sua ‘operazione speciale’, in realtà è una terra di passaggio per le milizie di Putin.
Non c’è altro da fare che nascondersi in cantina dove la nonna ha attrezzato 12 posti letto, uno per ciascun familiare. «Da quel momento in poi da lì si usciva solo per andare al bagno o per mandare qualche messaggio con il telefonino. L’unico che saliva in superficie era mio nonno per controllare se la casa c’era ancora e mia nonna che andava a prendere in cucina le cose da mangiare», racconta Maria che sotto terra ci rimane, insieme alla sua famiglia, fino al 2 marzo, quando la situazione precipita. Il giorno prima i russi infatti avevano intensificato i bombardamenti, il rumore si percepiva forte anche in cantina. E così la paura ha avuto il sopravvento.
Ma dopo che un missile centra un palazzo di nove piani, il 2 marzo si apre uno spiraglio: un corridoio umanitario. Una via di fuga da quel luogo ormai diventato una trappola, dove le bombe cadono senza alcun preavviso: «Non suonavano nemmeno le sirene», continua Maria in una narrazione surreale. Come se si trattasse di un film. Solo che i protagonisti in questo caso sono persone in carne e ossa che da un giorno all’altro hanno dovuto fare i conti con le ambizioni criminali dell’ex gente del Kgb.
In sette salgono su un’auto e da qui ha inizio un viaggio nell’inferno. Militari ad ogni angolo, posti di blocco, spari lungo la strada, esplosioni e distruzioni tutto intorno mentre i bagliori delle bombe illuminano il cielo dell’Ucraina: «Non sapevamo dove andare». L’idea di raggiungere Kiev s’infrange a metà percorso, proseguire è troppo rischioso. L’auto dunque torna indietro e stavolta punta quindi su Zytomir, una cittadina tra la Capitale e Leopoli dove una volta arrivati Maria e i suoi si fermano tre giorni. Poi raggiungono Ternopil, ospiti di un sacerdote. Qui la guerra sembra lontana con sprazzi di vita quotidiana mentre l’assedio dell’invasore prosegue in altre città del Paese. «La sera però dovevamo tenere la luce spenta, unica precauzione che ci ricordava che eravamo in guerra», spiega Maria. Ma è in questo luogo che matura il convincimento di abbandonare per qualche tempo l’Ucraina.
Marcella ed Emilio da giorni sono in contatto con lei. Insistono perché lasci il Paese almeno fino a quando non cesseranno le armi. Sono preoccupati. Maria invece vorrebbe restare ma c’è la sorellina di appena quattro anni che salta ad ogni rumore. «Anche qui quando passa un’auto mi chiede cosa sta succedendo». Si convince perciò che è la soluzione migliore e insieme alla mamma e alla piccola Bogena parte per Limosano su un bus carico di donne e bambini. Il viaggio dura un’eternità: dopo 40 ore arriva finalmente a Cassino dove ad accoglierla a braccia aperte, come nel 2006, ci sono i suoi genitori adottivi.
Da qualche giorno è in Molise dove ha ritrovato serenità e anche una certa normalità. Sente regolarmente il fidanzato e i suoi nonni che sono rimasti in Ucraina, vicino al confine con la Polonia. «Non è facile lasciare tutto e partire portandosi via poco o nulla», confessa mentre gli occhi si fanno più lucidi. «Aspetto che finisca la guerra, spero di tornare a Bucha (il paese dove viveva con il suo fidanzato a pochi chilometri di distanza da dove è nata ndr) almeno per prendere le mie cose, ho lasciato pure la lavatrice piena». Maria però continua studiare, segue le lezioni all’Università di Kiev da remoto. Le manca un anno alla laurea, poi sarà una dentista, le piace molto di più la medicina estetica che potrà praticare anche prima dei due anni di specialistica. Il futuro che aveva programmato con Yarosalv a Kiev, dove avevano già comprato casa, ora è tutto da riscrivere. «Il mio fidanzato mi dice di aprire gli occhi, quando la guerra finirà ci saranno molti problemi in Ucraina, molte città sono state rase al suolo, non si sono più strade, i morti sono stati seppelliti nei giardini con il rischio di epidemie, e poi ci sono le bombe non esplose che rappresentano una minaccia per le persone. Tuttavia non mi preoccupo del mio futuro, ma di quello dei miei familiari. Forse i prossimi anni li trascorreremo in una città europea, l’azienda americana dove lavora Yarosalv vuole trasferire la sede in un’altra capitale», dice Maria che il giorno prima ha ricevuto una telefonata del suocero: «Mi ha detto che fra un mese potremo tornare a casa».
alessandra longano