Sessanta nomi nella short list approvata venerdì dalla direzione generale dell’azienda sanitaria. Più della metà di loro ha lavorato nelle Usca. Eppure in queste ore si registra un fuggi fuggi dal servizio che Regione e Asrem hanno organizzato per sostituire le squadre ‘speciali’ di assistenza domiciliare attivate durante lo stato d’emergenza. Se a Larino il distretto guidato da Giovanni Giorgetta è riuscito a partire lunedì, a quello di Isernia diretto da Lucio De Bernardo è servito un altro giorno per approntare lo start. Da ieri, nella sede di Venafro, ci sono due medici h12 a disposizione dei pazienti Covid isolati a casa. Per raggiungerli e chiedere consulto o una visita, si può chiamare il numero 0865/907754. A Campobasso, invece, le rinunce hanno sommerso lo staff del capo del distretto Giuseppe De Marco. Tanto che non si hanno notizie certe sui tempi e i modi del ripristino. Anche a Isernia, conferma De Bernardo, sono piovuti in queste ore i preavvisi. Dall’8 agosto dovranno essere sostituiti quattro professionisti. Per ora, le sostituzioni sono state approntate.
Ma perché fare domanda e poi rinunciare? «Tutti coloro che hanno elaborato il bando credono che l’unico problema sia quello della retribuzione. Non è affatto così, per quanto rappresenti un elemento che sminuisce il nostro lavoro – spiega Lina Lombardi, responsabile della commissione Giovani dell’Ordine di Isernia – Pensate che il compenso è ora il più basso d’Italia ed è il più basso di quelli previsti in Molise per chi si occupa del Covid, 23 euro all’ora mentre un medico vaccinatore ne percepisce 27. Ma il problema vero è che l’avviso non tiene conto delle esigenze del territorio, è stato elaborato senza ascoltare i sindacati, gli Ordini professionali, i rappresentanti della medicina territoriale». Né chi, come lei, il servizio in questi due anni lo ha svolto e sa di cosa ha bisogno un malato Covid a domicilio.
Che il servizio Usca non sarebbe stato prorogato, prosegue Lina Lombardi, i medici lo hanno saputo solo il 30 giugno. L’ultimo giorno di lavoro. «Con grande amarezza e delusione ci siamo trovati a far visita a un paziente al mattino, magari, e a dovergli telefonare nel pomeriggio per avvisarla che dal giorno successivo il servizio sarebbe cessato». Le squadre, due per distretto, erano composte tutte da giovani professionisti, laureati e frequentatori di scuole di specializzazione o corsi di medicina generale. Che sono quindi tornati all’attività precedente. Senza lo stato d’emergenza, le scuole non concedono più i permessi agli iscritti e i corsi sono in presenza. Hanno quindi a disposizione poco tempo. I titolari di guardia medica, poi, possono svolgere questo servizio solo a completamento delle ore per cui sono convenzionati con il Ssn.
«C’è chi può prestare un unico turno a settimana e questo non permette di gestire bene il paziente. A tutto questo aggiungete che c’è una sola squadra per distretto adesso. Chi conosce il territorio molisano sa quanto sia difficile dare assistenza domiciliare in queste condizioni e con questi numeri». Sono queste le motivazioni per cui, conclude Lina Lombardi, in molti, consapevoli delle responsabilità verso i malati, decidono di non accettare l’incarico. «Il medico deve essere messo in condizione di lavorare bene. Tanti aspetti non sono stati considerati, invece. E noi giovani medici siamo stati trattati come l’ultima ruota del carro, come fossimo la causa del debito della sanità».
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