Si è spento a 94 anni nella sua casa romana Giulio Andreotti. La notizia è subito rimbalzata su tutti i media del mondo. Sulla scena politica per tutta la seconda parte del secolo scorso, da più tempo della regina Elisabetta, è stato sette volte presidente del Consiglio, uno dei leader democristiani
più votati, ma per i suoi nemici e detrattori era “Belzebù”, l’emblema di un potere che si alimenta nelle zone d’ombra.
Quando Buscetta raccontò la storia del bacio a Totò Riina i colpevolisti erano di gran lunga i più numerosi. Si illudevano: Andreotti, passato dall’altare alla polvere nel giro di poche ore, sfidò i giudici andando a tutte le udienze del processo che lo vedeva imputato, la testa china sui suoi appunti, contestando l’accusa fino alla sentenza definitiva.
“La sua morte segna l’addio a una pagina di storia nazionale. Protagonista assoluto nella Prima Repubblica, sette volte presidente del Consiglio e più volte ministro, Andreotti ha rappresentato un’epoca molto lunga e molto importante e ha contraddistinto l’esistenza del principale partito del dopoguerra, la Democrazia cristiana”. Così il governatore Paolo di Laura Frattura ricorda il senatore a vita.
“Padre della Repubblica italiana, statista e simbolo della Democrazia cristiana, uomo cordiale ma riservato, di immensa cultura”. Commenta invece l’eurodeputato Aldo Patriciello.
“La sua morte – ancora Patriciello – ha lasciato un vuoto nella politica italiana e in tutti noi che, militanti della Dc e non solo, dal senatore Andreotti traevamo insegnamento etico, politico e istituzionale, un modello che ha rappresentato le Istituzioni italiane con professionalità e capacità di mediazione rispettando sempre coloro che erano lontani dalla sua visione politica”.

 

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