Era il 2 dicembre del 2004. La città di Venafro fu sconvolta da un blitz dei carabinieri coordinati dall’allora comandante della Compagnia Antonio Bandelli.
La cronaca di quella giornata racconta di auto dell’Arma che sfrecciavano a sirene spiegate a tutta velocità lungo le arterie cittadine, mentre un elicottero sorvolava il territorio dall’alto e decine di uomini in mimetica sequestravano buona parte del tracciato della variante alla statale 85 che era in fase di costruzione.
Secondo il pm Nicola D’Angelo della Direzione distrettuale antimafia di Campobasso per la realizzazione di quell’opera era stato utilizzato materiale scadente. Si paventò addirittura il crollo delle strutture già realizzate. Da qui il nome all’operazione “Piedi d’argilla”. Ma non è tutto. Nei confronti degli indagati, tra cui l’onorevole Aldo Patriciello, che all’epoca dei fatti era vicepresidente della giunta regionale e assessore all’agricoltura – e in corsa per un posto da sottosegretario in quota all’Udc nel governo Berlusconi -, anche l’infamante accusa di “violazione della legge antimafia per aver commesso reati per favorire un’organizzazione criminale di stampo mafioso”. Secondo le ipotesi accusatorie del capitano Bandelli, Patriciello avrebbe favorito un pericolosissimo clan della ‘Ndrangheta calabrese.
Accuse cadute una ad una, fino all’assoluzione con formula piena pronunciata già in due gradi di giudizio.
Su quei fatti l’eurodeputato di Venafro ha scritto un libro. Lo presenterà lunedì prossimo, 13 febbraio, all’hotel San Giorgio di Campobasso. Lo ha intitolato “Piedi d’acciaio”: 320 pagine “che – si legge in una nota a firma del suo ufficio stampa – puntano a stimolare una riflessione accurata su alcune criticità che presenta la dinamica investigativa con l’esame di fatti e circostanze che emergono dall’analisi dei copiosi protocolli, investigativi e processuali”.
“Un libro che non vuole essere di denuncia – afferma Patriciello – ma si propone, secondo un’ottica documentaria, di contribuire a migliorare l’efficienza e l’efficacia della giustizia italiana in favore dei cittadini”.
Questa la prefazione del testo: “Il 2 dicembre del 2004 la mia vita e quella della mia famiglia cambiarono: ancora adesso ogni giorno davanti ai miei occhi scorrono le immagini di quel che accadde. Come un film. Le sirene dei carabinieri, mio fratello arrestato, le telecamere che facevamo rimbalzare quelle scene nelle case degli italiani. L’elicottero volteggiava sulle nostre teste mentre cercavo di rendermi conto che tutto ruotava attorno a me. Una parola mi riecheggiava nella testa: ‘ndrangheta!
Io indagato, colluso, sporco… L’inchiesta giudiziaria stava travolgendo le nostre vite, stava mandando tutto a rotoli: un patrimonio di credibilità, correttezza, rigore nella gestione delle imprese, moralità nella vita pubblica. In un momento in cui ero impegnato in prima persona in una sfida difficile, quella che avrebbe dovuto portarmi dritto a Bruxelles. Quella che stava per portarmi al governo come sottosegretario.
Per anni, rivedendo quelle immagini nei telegiornali mi sono chiesto: e se avessi rinunciato alla politica? L’accanimento giudiziario, gli attacchi alla mia persona e alle aziende della mia famiglia sarebbero cessati? Quelle assurde storie di collusioni con la criminalità sarebbero mai state formulate?
Sono domande rimaste senza risposta perché con caparbietà, con il conforto dei miei cari, spinto dalla mia coscienza tranquilla ma sconvolta da fatti mostruosi, ho continuato. Ho battagliato. Ho fermato la macchina del fango montata contro di me. Sono riuscito a dimostrare che non i ponti avevano piedi d’argilla ma le accuse, le malvagità che avevano messo a punto per distruggere me e la dinasty Patriciello, come l’hanno chiamata. Ma non sono contento, non posso gioire quando penso che per colpire me hanno fatto del male a tante persone. Per questo ‘Piedi d’acciaio’ rappresenta un contributo alla ricerca della verità: vogliamo sapere chi ha mosso i fili di questa assurda macchinazione, e qual era l’intento”.