Si sono concluse da poco le elezioni per il rinnovo del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Campobasso. L’organismo uscente, presieduto da Giuseppe De Rubertis, è stato riconfermato per nove undicesimi.
Venerdì scorso il Consiglio ha rinnovato le cariche riconfermando al vertice, appunto, l’avvocato De Rubertis, il segretario è l’avvocato Giacinto Macchiarola, all’avvocato Valeria Zappone è stata invece conferita la carica di tesoriere.
Altissima l’affluenza alle urne: hanno votato 539 dei 680 aventi diritto, ovvero l’80% degli iscritti all’Ordine.
Il presidente De Rubertis ha ottenuto 427 preferenze (percentuale notevole rispetto ai 539 votanti).
Avvocato De Rubertis può ritenersi soddisfatto per la grande fiducia che i suoi colleghi le hanno riconosciuto.
«Certo, è un dato importante e mi gratifica, ma il segnale più interessante ricavabile da questa tornata elettorale è piuttosto un altro e cioè l’altissima affluenza da parte degli iscritti (539 votanti su 680 iscritti), ovvero una percentuale pari all’80%.
Questo, a mio avviso, testimonia due cose: la prima, di carattere generale, è che gli avvocati, nonostante le difficoltà che hanno interessato la nostra categoria negli ultimi anni, caratterizzate da una progressiva riduzione degli iscritti e da un concomitante calo del margine di redditività della nostra professione, nonostante tutto, si riconoscono nelle istituzioni forensi ed in chi le rappresenta; la seconda, più in particolare, è che questa notevole affluenza, mai registrata prima, rappresenta un forte segnale di apprezzamento per il lavoro svolto dal Consiglio uscente da me presieduto – che, peraltro, è stato confermato per nove undicesimi – nel quadriennio precedente».
Come valuta l’Avvocatura la recente riforma della giustizia?
«Gli avvocati già si erano posti in termini molto critici rispetto alla legge delega, la cosiddetta riforma Cartabia, nella cui elaborazione non sono stati sufficientemente coinvolti. Il giudizio non è cambiato a seguito dell’entrata in vigore dei decreti attuativi, che, per certi aspetti, hanno addirittura peggiorato l’impianto originario della riforma.
Più in particolare, per quanto riguarda il settore civile, se da un lato va accolto senz’altro con favore lo sforzo che è stato fatto in termini di maggiori investimenti rivolti all’assunzione di personale di cancelleria ed all’implementazione delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell’apparato giudiziario, dall’altro, l’aver ritenuto di operare attraverso il potenziamento delle Adr, ovvero gli istituti di risoluzione alternativa delle controversie – rispetto ai quali c’è da chiedersi se funzioneranno davvero, viste le esperienze pregresse non certo positive della negoziazione assistita e della mediazione obbligatoria – e la concentrazione dei riti e delle loro tempistiche, il timore, ormai divenuto certezza, è che verrà reso solo più complicato il lavoro degli operatori del diritto (avvocati, magistrati e cancellieri) e più difficoltoso l’accesso al sistema giustizia da parte degli utenti, con conseguente sacrificio dei diritti e delle libertà dei cittadini.
Per quel che concerne, invece, il settore penale, anche qui, a fronte dell’avvio, finalmente, del processo penale telematico, della positiva introduzione di un sistema di giustizia riparativa e della valorizzazione dei riti alternativi, v’è da rilevare che, relativamente a numerosi istituti, sostanziali e processuali, i decreti delegati hanno svuotato ciò che di positivo pure c’era nella originaria riforma Cartabia.
A questa situazione già critica, poi, non è stata di aiuto, ed anzi si è rivelata foriera di forti preoccupazioni, la decisione del governo di anticipare l’entrata in vigore delle disposizioni più rilevanti della riforma del processo civile al 28 febbraio 2023. L’emendamento governativo alla legge di Bilancio, approvato alla fine del mese di dicembre dell’anno passato e che introduce l’anticipazione delle principali novità del rito civile, si è posto, peraltro, in contrasto con la decisione di posticipare, invece, la riforma del processo penale e, soprattutto, si è rivelato poco ragionevole e, comunque, disfunzionale, considerata la situazione di forte difficoltà che, nell’immediato, creerà per il personale di Cancelleria, per i magistrati e per gli avvocati».
Quali, secondo l’Avvocatura, gli effetti, positivi o negativi, della riforma della giustizia? Davvero l’intervento riformatore riuscirà a realizzare l’obiettivo sperato dell’efficientamento della giustizia?
«Alla luce di quanto ho appena detto, l’Avvocatura ritiene che vadano apportati, in tempi brevi, i necessari interventi correttivi sugli aspetti più spinosi della riforma della giustizia, soprattutto civile ma anche di quella penale, perché il timore è che, se tutto rimane così come è, la stessa riforma difficilmente potrà conseguire il raggiungimento dell’ambizioso risultato previsto dal governo, di riduzione della durata dei processi, nel quinquennio a venire, nella misura del 40% per quelli civili e del 25% per quelli penali, il tutto con un inutile sacrificio delle garanzie di difesa e del contraddittorio e senza una vera e concreta incidenza sugli obiettivi individuati dal Piano nazionale di ripresa e resilienza.
Ciò nonostante, come avvocati, siamo consapevoli che la riforma della giustizia, civile e penale, rappresenti – com’è stato detto da altri – una sfida epocale che, al netto delle criticità innanzi espresse, abbiamo il dovere, tutti insieme, avvocati, magistrati e operatori del diritto in genere, di raccogliere ai fini dell’effettivo e concreto perseguimento dell’anelato obiettivo di rendere il sistema giustizia più efficiente, ciò nell’interesse degli utenti dello stesso e dell’intero Paese».
ppm

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