«C’è un ricordo, più di qualsiasi altro che torna spesso, se posso dire, a farmi compagnia. Un ricordo carico di nostalgica malinconia che mi riempie di tenerezza, un incontro confidenziale in cui Tony Vaccaro rivelò, più che in ogni altra circostanza, i segni della sua profonda umanità maturata anche attraverso un’antica inguaribile sofferenza».
Se n’è andato lo scorso 28 dicembre diciotto giorni dopo aver compiuto un secolo di vita. Vita straordinaria quella di Tony Vaccaro che aveva promesso a se stesso e agli altri che avrebbe fatto il “Giro del Mondo”. Un sogno che per essere tale non aveva basi di certezze ma sostenuto, fortemente alimentato, da un profondo desiderio di conoscenza. Si è scritto molto su questo personaggio che con la macchina fotografica ha guadagnato i più ambiti riconoscimenti che un professionista dell’obiettivo possa desiderare. Nel 1963 riceve la Medaglia d’Oro dall’Art Directors’ Club di New York per una foto che per la prima volta ritraeva una modella di colore pubblicata su una rivista riservata ai bianchi. Nel 1969 ancora una Medaglia d’Oro per la migliore fotografia al mondo a colori, concessa dal WordPress Association, della città di Hague in Olanda. Nel 1994 il Presidente della Francia Francois Mitterand gli conferisce la medaglia della Legion D’Honneur. Nel 1995 riceve dal Granducato del Lussemburgo e dalla Germania la più importante medaglia tedesca, la Croce Verdienstkreuz. Le sue opere sono esposte nei più importanti musei e le gallerie d’arte del mondo. E mostre a lui dedicate sono state allestite in ogni parte degli Stati Uniti e in Messico e, quella dal titolo “La mia Italia”, lo fanno conoscere in tutto il Paese da Padova a Bologna, Teramo, Campobasso.
Parlavamo di una giornata particolare non è vero? Chiediamo ad Antonio Chieffo.
«Sì, certo. Tra noi è nata una bella amicizia e non poteva essere altrimenti. Lui era una persona entusiasmante, carico di una vitalità contagiosa, pieno di idee e progetti per questo nostro Molise. Terra, aria, paesaggio che si portava nel cuore con la sensazione,quasi,che tutto ciò concorresse a formare la sua stessa pelle. Ci siamo frequentati a lungo sono andato a trovarlo in America e in più circostanze mi ha pregato di tornare a trovarlo. Conservo con dedizione le sue lettere. “Caro Antonio – mi scrive – il 25 prossimo farà un mese che ci siamo messi testa a testa a discutere di quello che si potrebbe fare per il nostro Molise. Non voglio che quest’occasione passi senza dirti l’onore che mi hai fatto a darmi il giorno più prezioso dell’anno e l’orgoglio che sento per te, per quello che fai e vuoi fare per il Molise e per la gente che abita lì o dovunque intorno al mondo in cerca di migliorarsi. Nel mondo ci sono regioni più primitive della nostra. Con tanta ricchezza che c’è nel mondo questa situazione non dovrebbe esistere. Allora, il nostro programma e quello di cominciare quasi dal punto zero e far vedere come la nostra terra si può sviluppare ed essere da esempio per le province di tutto il globo. Io so bene che questo è quello che tu vuoi fare. Ti prometto che io sono lì a darti una mano.
Ti ho detto che voglio costruire una casa disegnata da Frank Loyd Wrigth a Bonefro? Ho bisogno solo della salute».
Ecco basta questo particolare! Il sogno di voler realizzare a Bonefro una casa su un progetto di un insigne architetto statunitense, Loyd Wrigth, tra i più influenti nel campo dell’architettura moderna del secolo scorso, colui che ha realizzato la famosa casa sulla cascata, di cui tutti abbiamo sentito parlare, se non altro, quale esempio di architettura organica, per comprendere la portata culturale di Vaccaro, la sua visuale a dir poco avveniristica ma anche conservativa per un territorio come quello molisano. L’architettura organica di Wrigth – prosegue Chieffo – promuove l’armonia tra uomo e natura attraverso un sistema di equilibrio tra ambiente costruito e quello naturale. Quale migliore occasione di sviluppo armonico per questa regione che esprime un paesaggio pressoché incontaminato? Tony Vaccaro nei confronti del Molise è stato sempre disponibile prodigo alla generosità di idee e spinte culturali. Non ha mai preteso di ottenere prebende ma ha solo chiesto di poter dare a questa regione visibilità, occasione di rappresentare il proprio valore attraverso le sue foto, quelle che sì, hanno fatto il “Giro del Mondo”. Una delle prime volte che è venuto da noi, allora presiedevo la Provincia, recava una valigia piena dei negativi delle sue foto. Il valore di quel materiale era piuttosto ingente. Cento milioni! Tanti, quel patrimonio non lo ha venduto, lo ha regalato alla Provincia, al popolo molisano. Gli abitanti della nostra regione devono proprio all’ente Provincia se hanno avuto l’opportunità di conoscere un illustre molisano di ritorno, un artista come Tony Vaccaro».
Torniamo a quella giornata che lei definisce particolare che avete vissuto assieme?
«La giornata alla quale mi riferisco e alla quale anche Tony fa cenno in questa sua lettera è quella della vigilia di Natale del 1996.
Venne a trovarmi a Colletorto, io avevo perso mia madre da poco. Venne, appena tornato dagli Stati Uniti per confortarmi, in un certo senso per compiere quel dovere di buona crianza di cui, specialmente nei nostri paesi, non si è ancora del tutto persa la traccia. Siamo stati assieme tutto il tempo. L’ho guidato per le strade, i vicoli più caratteristici di Colletorto e, l’ho accompagnato all’educandato femminile Sant’Alfonso de Liguori che è un enorme edificio un tempo collegio e scuola media allora retto da suore, nei cui spazi sono cresciute diverse generazioni di ragazze. Siamo giunti in chiesa, luogo che ancora testimonia un antico fascino di sorprendente bellezza devozionale ed artistica, data la presenza di lavori di artigianato ligneo, come la parte del coro,e sculture del Di Zinno. La nostra è una chiesa immersa nel silenzio del trascorrere del tempo, e dell’abbandono. Avevamo di fronte a noi lo splendido organo a canne il cui suono per spandersi lungo la volta veniva alimentato da mantici che si dovevano azionare a mano ed è allora che… ho visto Tony Vaccaro piangere.
Da bambino – mi disse – compiva, da solo a piedi, il tragitto da Bonefro a Colletorto per venire a trovare le sorelle ricoverate proprio in questo nostro quell’istituto. Tutto ciò che gli rimaneva della sua famiglia era rinchiuso tra quelle mura, al sicuro sì, ma in una costrizione simile a quella carceraria. Ho visto e compreso l’enorme peso di dolore racchiuso in quell’anima, un dolore che neanche il tempo è mai riuscito a lenire. Come si sa Tony Vaccaro è nato nella città di Greensburg in Pennsylvania, suo padre Giuseppe, era un geometra comunale, siamo agli inizi del’900, e si è visto costretto a sottrarsi alle pressanti richieste della Mano Nera, la famosa Black Hand, emanazione della mafia siciliana e meridionale, che praticava estorsioni all’interno delle comunità italiane e, a costo di brutali esecuzioni sommarie, pretendeva nei confronti del Comune di Greensburg la privatizzazione dei lavori di urbanizzazione della città. Giuseppe Vaccaro per mettere al sicuro la propria famiglia, la moglie Maria Domenica Silvestri e i tre figli piccoli li porta a Bonefro affidandoli alle cure dei nonni. Tony all’epoca aveva poco più di un anno, le sorelle erano poco più grandi. La mamma, Maria, durante questo soggiorno molisano muore improvvisamente a soli 28 anni. Il papà tre anni dopo decide di venire a riprendersi i figli per portarseli con se in America ma, anche lui muore improvvisamente e in maniera del tutto misteriosa. I bambini, orfani, restano a lungo in Molise. Tony affidato alla cura dei parenti, le bambine accolte nell’educandato di Colletorto.
Vede – prosegue Antonio Chieffo – vorrei fare una considerazione che mi frulla in testa in questi giorni in cui la cattura di Matteo Messina Denaro, definito l’ultimo dei padrini di mafia, occupa spazi giornalistici e televisivi in modo straripante. A mio parere bisogna considerare il pericolo di trasformare in kermesse la portata storica di questo evento. Il rischio è di innescare un processo di emulazione tra coloro, magari tra i nostri giovani, che potrebbero trovare fascinoso il racconto dei 30 anni di latitanza di questo personaggio continuando ad elencare,più che gli efferati delitti di cui questo assassino si è macchiato, le sue abitudini esistenziali. La sfacciataggine di cui faceva sfoggio andando in giro come il più innocente dei cittadini, la sfrontatezza di affidarsi alle cure di strutture sanitarie pubbliche. Le disponibilità economiche a sua disposizione provenienti da affari illeciti proiettati all’arricchimento suo e della mafia. L’elencazione di cosa mangiava, cosa beveva, come si vestiva. Vorrei dire ai giovani, ai nostri ragazzi già devastati da tante inaspettate cose che ci stanno accadendo che non si può provare ammirazione per una mezza tacca d’uomo che scimmiotta i gangster raccontati dal cinema. Vorrei avere avuto la possibilità di trasmettere loro il disagio che ho provato al cospetto della rappresentazione visiva del dolore di Tony Vaccaro. Un dolore dal quale, nonostante un’esistenza carica di impegni ma anche ricca di soddisfazioni, in cent’anni non è riuscito a guarire. Stesso dolore senza fine di cui sono affette le madri, le mogli, le sorelle i figli di coloro che sono caduti per mano della mafia. E non parlo solo delle famiglie Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, La Torre, Livatino e tante altre che non riusciamo nemmeno più ad elencare che hanno la certezza che i loro cari sono caduti da eroi. Parlo dei figli di tanta gente comune. Dei carabinieri, degli agenti di scorta, di semplici servitori dello Stato dei quali spesso non ricordiamo neppure i nomi che sono caduti per mano della mafia e spesso dimentichiamo che sono anch’essi eroi».
Senta dottor Chieffo che ne è di quella valigia piena di negativi che Vaccaro ha donato alla Provincia di Campobasso?
«Francamente non lo so spero sia stata affidata alla custodia della Biblioteca Provinciale, qualcuno, forse, ce lo saprà dire?».
Si tratta di materiale importante, un’eredità preziosa di Tony Vaccaro e, i cittadini molisani potrebbero e dovrebbero chiederne conto?
«Senza dubbio! Vede quel materiale non può rimanere chiuso da qualche parte procurando un furto alla memoria collettiva. Ne deriverebbe un danno a noi stessi, alle nuove generazioni che non solo non hanno conosciuto Vaccaro ma nulla sanno delle condizioni di vita del Molise, dell’intera Europa alla fine della guerra e, nel primo dopoguerra. Quelle foto esprimono un valore antropologico, oltre che documentario e artistico. Vaccaro possedeva la capacità di catturare le espressioni umane. Pur essendo un fotografo di guerra lui concentrava l’attenzione sulle persone. Ritraeva i volti, coglieva gli sguardi senza alcun artifizio da parte dei soggetti ritratti che neppure si accorgevano di essere sotto la lente del suo obiettivo. Oggi, più che mai quelle foto ci appartengono. Testimoniano un vissuto dal quale possiamo leggere il cammino percorso. Sono foto che raccontano pagine di storia e storie che,per quanto comuni, nel bene e nel male ci appartengono».
Vittoria Todisco