Condannato per il crollo della scuola Jovine, sotto le cui macerie morirono 27 piccoli alunni e una maestra, Mario Marinaro ha aggredito un operatore di La7 e il giornalista Danilo Lupo che voleva intervistarlo per chiedergli del suo reintegro al lavoro, lo stesso che svolgeva quando fu autorizzata la sopraelevazione “assassina”.
Il servizio è stato realizzato per il programma “In onda”, condotto ogni sera sulla tv di Cairo da Luca Telese e Marianna Aprile. Fra gli argomenti discussi nella puntata di martedì, la riforma della giustizia. Nel paese simbolo del terremoto del 2002, La7 è tornata per documentare un paradosso: un dipendente pubblico riconosciuto colpevole per un reato colposo ma gravissimo, strage, sia stato riassunto (dopo la fine della pena) dal Comune perché la proceduta di licenziamento era affetta da un vizio di forma.
«Nessuno ha fatto un giorno di carcere, nessuno ha risarcito un centesimo ma lasciamo perdere il risarcimento…», hanno raccontato a Lupo le mamme e i papà dei 27 angeli. Che si sono visti anche tornare il tecnico comunale (condannato insieme al sindaco dell’epoca, al progettista e ai costruttori della sopraelevata che ha avuto un ruolo determinante secondo la sentenza definitiva nel crollo dell’edificio durante il sisma) «nello stesso ufficio dove è stato tanti anni fa e dove ha commesso i suoi errori per cui i nostri figli sono morti». I condannati «siamo noi, io dovrei andare in Comune e trovarmi di fronte l’assassino di mia figlia», le parole di Giulia.
Il geometra ha vinto un ricorso e da metà aprile 2020 è di nuovo in Municipio a San Giuliano.
«Togli quella telecamera o ti butto giù, te e la telecamera», l’esordio di Marinaro quando ha visto arrivare la troupe. E si è infilato in auto. Lupo gli ha chiesto: le sembra giusto che sia ritornato al posto di lavoro dove ha causato una strage colposa. Dopo pochi minuti, ha raccontato il giornalista nel servizio, Marinaro è tornato. Le immagini sono eloquenti. Voglio solo sapere, è la domanda, se se la sente di chiedere scusa ai familiari delle vittime. Nessuna risposta. Anzi, no: calci, urla, parolacce, minacce. «Ve ne dovete andare».
Oggi si parla di riforma della giustizia «perché ci sono imputati illustri», non perché si prende atto delle ingiustizie di ogni giorno, la conclusione del presidente del Comitato vittime Antonio Morelli. E un Paese così «non è credibile», non è «così che si fa la riforma».

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