Il Comune di Petilia Policastro ha partecipato «al dolore che ha colpito la famiglia Curcio» per la morte di uno dei killer di Lea Garofalo.
Il manifesto dell’amministrazione calabrese ha destato polemiche e indignazione. Indecente, per il governatore di Forza Italia Occhiuto. Mentre il Pd di Crotone ha chiesto le dimissioni del sindaco. «Davanti alla morte – ha ribattuto il diretto interessato – si è tutti uguali».
Rosario Curcio, condannato all’ergastolo per l’omicidio e la distruzione del cadavere della testimone di giustizia avvenuti a Milano a fine novembre 2009, si è suicidato nel carcere di Opera il 29 giugno scorso (è deceduto al Policlinico di Milano qualche ora dopo il ricovero dal penitenziario). I suoi funerali si sono svolti a Camellino, una frazione di Petilia. Tra i manifesti
è apparso anche quello del Comune, che tra l’altro è stato parte civile nel processo e negli ultimi mesi ha svolto una serie di iniziative per la legalità nel nome di Lea: «Il sindaco Simone Saporito e l’Amministrazione comunale partecipano al dolore che ha colpito la famiglia Curcio per la perdita del caro congiunto».
Il sindaco Simone Saporito, però, si è giustificato: «Da quando è scoppiata la pandemia, come Amministrazione comunale abbiamo fatto un accordo con le agenzie di pompe funebri per fare i manifesti di vicinanza per tutti i funerali che si celebrano in città. L’opportunità di fare il manifesto è in effetti opinabile, ma noi abbiamo fatto il manifesto a tutti. Perché a lui no? Davanti alla morte si è tutti uguali. Sarebbe stata una discriminazione al contrario non farlo».
Prima di essere uccisa a Milano per le dichiarazioni che aveva reso alla magistratura sui reati compiuti anche dal suo ex compagno Carlo Cosco, affiliato alla ndrangheta e mandante del suo assassinio, Lea Garofalo aveva abitato qualche tempo a Campobasso. A maggio del 2009, nella casa di via Sant’Antonio Abate dove viveva con la figlia Denise, subì un tentativo di sequestro orchestrato da Cosco, a cui prese parte anche uno dei fratelli dell’ex compagno. Il piano, hanno ricostruito gli investigatori e poi le sentenze, era già quello di rapire la donna, torturarla per farle raccontare quali rivelazioni aveva reso ai magistrati e poi ucciderla. Piano che fu barbaramente messo in atto sette mesi dopo.