Nel Sud Italia ci sono più pensionati che lavoratori. Il dato, già emerso in termini di stima rispetto all’inizio del 2022, è confermato ora dalla Cgia di Mestre nella sua consueta rilevazione settimanale.
Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno – sostiene la Cgia –, nel Mezzogiorno, invece, il sorpasso è già avvenuto. In Italia i pensionati sono 22.772.000 e i lavoratori sono 23.099.000. Ma nelle regioni del Sud e delle isole, le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000. In Molise, si legge nella tabella elaborata su numeri dell’Inps e dell’Istat (relativi al 2022) dall’Ufficio studi dell’associazione degli artigiani mestrini, 123mila pensionati e 103mila occupati.
Scendendo nel dettaglio della situazione delle province, a Campobasso 87mila pensionati e 74mila occupati. A Isernia, rispettivamente 36mila e 30mila.
Le cause del sorpasso fra anziani in “buen retiro” e forza lavoro, per la Cgia sono rintracciabili in tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare.
Per riequilibrare il sistema, soluzioni miracolistiche non ce ne sono, sottolinea l’associazione, e ancorché fossero disponibili, i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni. Tuttavia, con sempre meno giovani e sempre più pensionati, il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale. Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese. Si tratta di coloro che svolgono un’attività in nero: secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone. Persone che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere attività di diverso genere, ma irregolari appunto.
A parere della Cgia, per invertire la rotta è anche necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che l’Italia è fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50% circa). «Inoltre, bisogna rafforzare – riporta ancora il dossier – le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale). Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Unione europea. Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio la sanità e la previdenza rischiano di implodere».