Originario della seconda provincia della regione Basilicata, Matera, città sede della capitale europea della cultura 2019, ove è nato 66 anni fa, quarto di cinque figli, Biagio Colaianni, vicario della diocesi lucana di Matera-Irsina, è stato designato successore di monsignor Giancarlo Maria Bregantini, dimissionario per motivi di età, nella conduzione del popolo di Dio dell’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano.
È stato il sommo pontefice, Papa Francesco, a nominarlo nella giornata del 6 dicembre, ricorrenza di San Nicola. Il prossimo 10 febbraio, presso il Palasassi di Matera, in una attesa, solenne, celebrazione eucaristica, si terrà la sua ordinazione episcopale, mentre il 9 di marzo, presso il Santuario dell’Addolorata di Castelpetroso ci sarà la cerimonia di insediamento nella diocesi di Campobasso-Bojano, per l’inizio del suo mandato pastorale.
Monsignor Colaianni è rimasto un po’ sorpreso dalla lieta notizia, ma l’ha accolta con gioia, quale prezioso dono di Dio. “Grazia Dei in me vacua non fuit” (la Grazia di Dio in me non è stata vana), è il motto scelto, tratto da una lettera dell’apostolo Paolo. Lo stemma araldico, invece, che sintetizza la storia, i valori spirituali e il programma del neo Arcivescovo, presenta aspetti che hanno a che fare con le diocesi di Matera e Campobasso e che richiamano la sua devozione mariana: dalla Madonna della Bruna di Matera, alla Madonna della Libera di Campobasso, alla Madonna di Lourdes cui don Biagio è legato da profonda devozione. Da questa devozione è scaturita anche la scelta del giorno della sua consacrazione episcopale, appunto il 10 febbraio, vigilia della festa mariana di Nostra Signora di Lourdes. Gli abbiamo voluto rivolgere alcune domande per tentare una sua più approfondita conoscenza.
Visto che sappiamo poco di lei, ci faccia in brevi battute, una sua veloce presentazione, personale e familiare.
«Sono grato a Dio, alla mia famiglia nella quale tutto è nato, a papà Pietro, impiegato al catasto, dal quale ho imparato la fermezza nei princìpi. Da mamma Gina, sarta prima e casalinga dal matrimonio in poi, che mi ha trasmesso la bellezza della tenerezza. Ora dalla casa del Padre intercedono e gioiscono per me. Assieme hanno cresciuto cinque figli, tre maschi e due donne, di cui io sono il quarto. Con loro ho imparato a relazionarmi e confrontarmi, a vivere il gusto del poggiarsi e affidarsi a chi ti vuole bene ed è sempre presente in ogni tua scelta. Sono riconoscente alla mia famiglia per quello che sono diventato come uomo e come cristiano».
Lei ha operato al servizio del Signore solo ed esclusivamente nella sua regione, la Basilicata, una scelta obbligata o deliberata?
«Ogni sacerdote è incardinato nella propria diocesi e quindi nel territorio a cui appartiene. Ho comunque allargato i miei orizzonti nell’impegno e servizio sacerdotale a livello regionale e nazionale, anche se temporaneo quale Rettore del Seminario Interdiocesano di Basilicata, come formatore di campi nazionali per gli scout, come membro della Commissione Presbiterale Nazionale».
Come ricorderà la giornata del 6 dicembre 2023, festa di San Nicola, in cui è stata annunciata la sua nomina a capo della Diocesi del capoluogo molisano?
«Il giorno della comunicazione della mia elezione ad Arcivescovo di Campobasso-Bojano era memoria di San Nicola, protettore dei bambini ai quali porta regali nell’avvicinarsi del Natale. Sono riconoscente per il dono ricevuto e mi sento piccolo davanti a Dio e al compito che mi attende. In quell’occasione ho ricordato anche Don Nicola Colagrande, che è stato il mio parroco, che fin da piccolo mi ha aiutato a crescere e maturare nella fede e che nel cielo ora intercede per la mia santificazione».
Dopo tanti anni a disposizione del gregge lucano, prova un po’ di dispiacere nel lasciarlo?
«Ogni distacco da persone amate, con cui si è condivisa la fede e la vita cristiana, è sempre un dispiacere. Importante è proiettarsi in avanti verso il gregge di Campobasso-Bojano che mi attende e che Dio nella sua volontà ha progettato di affidarmi. I nuovi volti che incontrerò e l’accoglienza calorosa e filiale già manifestata, mi incoraggiano e mi rasserenano».
Le era mai balenata l’idea che un giorno, all’età di 66 anni, sarebbe venuto a svolgere il suo ministero episcopale in terra molisana?
«Dio sorprende sempre specie se pensi di poterti “sedere”, rimette in movimento, sollecita ad alzarti e continuare a dare te stesso. Data l’età forse richiede più maturità e consapevolezza, sono aperto alla novità e ricchezza della terra molisana anche se simile a quella di Basilicata da cui provengo, nulla per me è scontato».
Basilicata e Molise sono due piccole realtà del Sud. Della prima saprà tutto, della seconda?
«Vengo per conoscere, apprezzare e lasciarmi “toccare”, conquistare dai molisani. Gente conosciuta come laboriosa, di grandi possibilità e ricchezze, che è in cammino con impegno per esprimere al massimo le potenzialità imprenditoriali ed economiche, sociali ed umane di cui nonostante ogni crisi, sono fiducioso, sarà capace».
Con quale spirito e quali progetti si appresta a guidare la Chiesa campobassana, il cui territorio è affidato alla protezione del patrono San Giorgio Martire e alla vigilanza di Santa Maria del Monte nel Santuario di fronte al Castello Monforte?
«Lo spirito con cui servire la Chiesa di Campobasso-Bojano è di disponibilità a donarmi per quello che sono, spero sufficiente, a vivere con il popolo affidatomi sapendo che il pastore fa la vita del gregge. San Giorgio lo difenderà dal male, oggi più subdolo e insidioso, specie per i ragazzi e i giovani. Come diceva lei c’è Santa Maria del Monte a vigilare, la invochiamo in preghiera come Madre celeste, che protegge i suoi figli e li custodisce nel suo cuore».
Il Sinodo Diocesano del 2016-2020, voluto dal suo predecessore e raccolto nel bellissimo “Liber Sinodalis”, ha fotografato il percorso che la Chiesa locale dovrebbe seguire, sicuramente lei ne terrà in debito conto…
«Vengo in una Chiesa che con Monsignor Bregantini ha tanto operato e col Sinodo ha posto i fondamenti per camminare. C’è da attuare quanto la Chiesa tutta ha progettato, mi inserisco in tanta ricchezza con l’intento di servirla e far sì che diventi realtà e vita cristiana e di fede condivisa da tutto il popolo di Dio».
Papa Francesco non si stanca mai di invitare la Chiesa ad uscire, la sua come sarà?
«L’invito di Papa Francesco è chiaro e lo ricorda con tutti i suoi interventi. Importante è che “la Chiesa in uscita” non diventi solo uno slogan da proclamare: quando si esce ci si veste e ci si prepara, uscire per uscire può non essere utile, bisogna prepararsi e sapere dove andare e chi incontrare e se siamo capaci di accoglienza e confronto, soprattutto se siamo desiderosi e aperti ad accettare e dialogare con un mondo eterogeneo e con percorsi diversi anche dalla nostra fede cristiana».
Ogni Pastore è legato a dei temi e determinati personaggi che hanno fatto la lunga storia della Chiesa. Quali sono i suoi riferimenti?
«La bontà e il calore familiare di Papa Giovanni, la forza dell’Annuncio di Verità fra tutte le genti di Giovanni Paolo II, il fondamento della Verità riaffermato da Benedetto XVI, il ricominciare dal Vangelo e dai poveri di Papa Francesco. Alcune persone semplici, padri e madri di famiglia, anziani ammalati, che con il coraggio di affrontare la vita quotidiana affidandosi a Dio mi hanno insegnato a “vedere” la sua presenza e vicinanza di consolazione che apre alla speranza».
Il prossimo 10 febbraio la Consacrazione episcopale a Matera, successivamente l’insediamento nella sua nuova destinazione, quali emozioni?
«Provo gratitudine e gioia nonostante la inadeguatezza e la pochezza. Desidero incontrare la Chiesa affidatami come pastore in mezzo al gregge per conoscerlo e amarlo dando me stesso e mi affido allo Spirito Santo perché mi guidi per guidare e mi sia compagno nel cammino con tutti».
Oltre che alla sua famiglia, a chi pensa di dover essere grato per il suo cammino di religioso?
«Come ho detto innanzi, alla mia famiglia, che mi ha generato alla fede nella testimonianza semplice ricevuta. Alle figure sacerdotali che mi hanno educato e aiutato a rispondere alla mia vocazione e alla volontà di Dio, al mio parroco don Nicola che mi ha fatto crescere nell’amore per Dio e gli uomini, ai miei formatori ed educatori e in particolare don Ignazio Schinella che mi ha insegnato ad accogliere la divinità nella mia umanità, al mio Vescovo Monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo e i suoi predecessori dai quali ho imparato la paternità, ai miei confratelli sacerdoti con i quali ho condiviso ansie e preoccupazioni nel ministero e la gioia e fiducia nell’unico Signore che ci accomuna e ci rende fratelli. Infine, agli amici e parrocchiani, ai laici, credenti e non, dai quali, nel confronto delle proprie esistenze, ho maturato l’essere sacerdote incarnandomi nella storia che viviamo».
È stato particolarmente apprezzato il suo messaggio di vicinanza e di solidarietà alla famiglia Mignogna di Campobasso per la perdita del piccolo Alessandro nel triste evento del rogo di Natale, unitamente a padre Giancarlo e tutti i religiosi e le religiose. Una tragedia immane, un dolore inconsolabile.
«Non c’è dolore più grande che perdere un figlio, specie se in tenera età, la dignità composta e la fede di questa famiglia mi ricordano che Dio non si allontana nei momenti tragici e difficili della vita, in Lui è possibile trovare la forza della speranza nella comunione con i propri cari in cielo».
La Cattedrale è chiusa per lavori, la presa di possesso della Diocesi si terrà nella basilica minore di Castelpetroso, il 9 di marzo. Come si sta preparando?
«Mi affido alla Madonna Addolorata lasciandomi avvolgere dal suo manto nella preghiera. Ho bisogno di sentirmi protetto dalla tenerezza della Madre di Dio, Madre della Chiesa e di ogni cristiano. A Lei mi affido nel desiderio di incontrare i suoi figli e miei fratelli».
Si rivolga, infine, direttamente ai suoi nuovi fedeli, con un forte e convinto saluto, come solo i Vescovi sanno fare. E, principalmente, con un messaggio augurale di speranza per una popolazione dalle solide radici cristiane e dagli autentici valori spirituali e morali.
«Miei cari fedeli della diocesi di Campobasso-Bojano a me affidata, non posso che amarvi con tutto me stesso, nella disposizione piena a lasciarmi guidare dal Bel Pastore che è Cristo Gesù. Cammineremo assieme trovando un passo comune, condiviso, che ci conduca alla santificazione. Portiamoci gli uni gli altri nella fatica o nei rallentamenti, certi che la meta ci è data ed è raggiungibile da ognuno di noi. Fidiamoci di Dio e di quanto ha progettato per la nostra chiesa. “La grazia di Dio non è vana”, ma porta a fruttificare se si è docili alla Sua presenza tra noi. In un mondo così vario, a volte confuso, superficiale, di contrasti e guerre inutili, comunque amato da Dio e ricco dei suoi doni, possiamo sperare di raggiungere traguardi positivi. Non sradichiamoci dal bene di cui siamo capaci e dai valori nei quali siamo fondati, essi ci caratterizzano, siamo gente dal volto segnato dai venti di tante stagioni e vicissitudini di vita: terremoti e pandemie, crisi economiche e perdita del lavoro. Siamo però capaci di non piegarci, di saper andare avanti, certi che la fatica a cui siamo abituati e la forza della fede in Dio che vince ogni tempo difficile, ci vedrà realizzare e concretizzare la speranza di fraternità e pace che desideriamo. Camminiamo ogni giorno nella compagnia del Signore, seguendo il suo passo, certi che conduce a pascoli erbosi, accogliamo la benedizione di Dio in noi e lasciamoci portare sul palmo della sua mano. Il Signore ci benedica».
Michele D’Alessandro