Sull’Autonomia differenziata intervengono anche gli ex consiglieri regionali. In una nota il presidente dell’Associazione Gaspero Di Lisa definisce la riforma in corso di approvazione un «disastro per il Paese»
«Con la recente approvazione, in uno dei due rami del nostro Parlamento – scrive Di Lisa –, il dibattito sui pro e i contro della realizzazione dell’Autonomia differenziata regionale, si fa sempre più complesso e intenso.
Se sarà approvato definitivamente il disegno di legge sull’Autonomia differenziata del ministro Calderoli, grazie alla clausola che l’operazione dovrà essere portata avanti “senza oneri aggiuntivi” per lo Stato (ovvero, a costo zero), ogni Regione dovrà arrangiarsi con i propri fondi con buona pace della Costituzione che – all’articolo 5 – prevede che i diritti sociali (sanità, istruzione, ecc) debbano essere uguali ed accessibili su tutto il territorio nazionale.
Si tratta dei Livelli Essenziali delle Prestazione (LEP) eppure previsti dall’articolo 117 del novellato titolo V della Costituzione secondo il quale “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”.
In buona sostanza, con la modifica titolo V della Costituzione varata nel 2001, venne affidata allo Stato e alle Regioni la competenza “concorrente” su una lunga serie di materie ma, a condizione che venissero “determinati i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.
Il ministro per gli Affari regionali Calderoli dice di voler dare attuazione a quanto previsto dal terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione ai sensi del quale – sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata – possono essere attribuite alle Regioni a statuto ordinario, che ne facciano richiesta, forme e condizioni particolari di autonomia in 23 materie.
Si va dalla Salute – ancora il presidente dell’Associazione degli ex consiglieri regionali – all’Istruzione, dallo Sport all’Ambiente, passando per Energia, Trasporti, Cultura e Commercio Estero. Ed al tal fine, il disegno di legge “Autonomia differenziata” prevede la possibilità, da parte delle stesse Regioni, di trattenere il gettito fiscale legato alle erogazioni dei servizi per l’utilizzo di quelle risorse sul proprio territorio.
Ma il disegno di legge Calderoli non ha sciolto il suo nodo principale: le funzioni autonome dovrebbero essere attribuite solo dopo aver determinato proprio i LEP, ovvero il livello minimo di servizi da rendere al cittadino in maniera uniforme in tutto il territorio nazionale.
I fautori della norma sostengono che per evitare squilibri economici fra le Regioni che aderiscono all’autonomia e quelle che non lo fanno il disegno di legge introduce “misure perequative”.
Ma se il disegno di legge venisse approvato definitivamente, il ruolo delle Regioni, sia ordinarie che autonome (ex articolo 116 comma 3 Costituzione) si ridurrebbe a quello di “agenti regionali” dello smantellamento del Sistema sanitario nazionale e della privatizzazione della sanità.
Lo si deduce abbastanza facilmente proprio nella parte del DL Calderoli che riguarda i LEP: l’articolo 9 esclude “nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”; l’articolo 4 comma li vincola nei “limiti delle risorse rese disponibili nella legge di bilancio”.
E a pagarne le spese sarebbe, innanzitutto, il nostro Servizio sanitario nazionale già gravemente eroso da un massiccio processo di privatizzazione e finanziarizzazione.
Ne sono conferma il “combinato disposto” tra la Legge Bilancio 2024, il decreto Milleproroghe 2024, e lo stesso DDL numero 615-A Calderoli, così come modificato in Commissione Affari costituzionali e in Aula in Senato.
La legge di Bilancio 2024, infatti, ha stanziato per il Fondo sanitario nazionale circa 131 miliardi di euro; inferiore di 10 miliardi a fronte dei 141 miliardi, stimabili senza incrementi, rispetto all’anno 2022 per effetto dell’inflazione cumulativa pari al 9%.
Con gli stessi criteri la spesa privata diretta sarebbe di 43,5 miliari, ben 3,5 superiore a quella del 2022. In qualsiasi caso è evidente che, nel 2024, il fondo sanitario nazionale sarà ancor più insufficiente a finanziare il Sistema sanitario nazionale, e non sarà certo la ulteriore sua frammentazione in 21 servizi sanitari regionali a risolvere questo problema.
L’approvazione definitiva del DL sarebbe un vero disastro per un paese già alle prese di una grave crisi economica e dagli attacchi feroci degli ultimi anni a sanità, istruzione e servizi al cittadino (ovvero, a quel poco che ancora rimane in piedi del nostro welfare e della prima parte della Costituzione) oltre a spingere verso il pericoloso piano inclinato di una torsione autoritaria
Gaspero Di Lisa