Oggi, 21 settembre, penultimo giorno di una estate decisamente torrida, che ha fatto sentire pesantemente i suoi effetti, come non si verificava da tempo, si celebra la “Giornata Internazionale della Pace”, istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1981, con lo scopo di rafforzare la volontà di pace tra le nazioni e i popoli.
Dall’inizio di questo secolo, anno 2001, le celebrazioni per la pace sono state fissate in questo giorno, 21 settembre di ogni anno, tramite una risoluzione sottoscritta da tutti, ed è stato anche concordato che questa sarebbe stata la giornata in cui sospendere tutte le ostilità e le violenze nell’intero globo. Vogliamo augurarci che nell’immediata vigilia dell’arrivo dell’autunno, in tutte le parti del mondo, si osservi in maniera convinta questa risoluzione che invita tutti gli Stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, le organizzazioni regionali e non governative, i singoli individui, a festeggiare l’evento in modo adeguato, mediante il rispetto, l’educazione, la consapevolezza e la condivisione dei valori della pace e la cooperazione attiva a tutti i livelli della vita sociale, ma, soprattutto, con il silenzio delle armi. «Costruire la pace è difficile. Vivere senza pace è un tormento», ha affermato Christian Barone, teologo del dicastero vaticano per lo sviluppo, docente di teologia fondamentale presso la Pontificia Università Gregoriana, coautore assieme al cardinale Michael Czerny di una pubblicazione dal titolo “Fraternità, segno dei tempi”, in un incontro promosso dalla scuola di cultura e formazione socio-politica “G.Toniolo” presso il salone Celestino V dell’Arcidiocesi di Campobasso-Bojano.
«Il futuro è fraternità», ha chiosato il teologo, inneggiando alla tematica in esame,e certamente non gli si può dar torto, se si vuole guardare in avanti in direzione della eliminazione di ogni conflitto e, quindi, della quiete sociale, tema ricorrente, tra l’altro, nel magistero di Papa Francesco, quale baricentro dell’Umanità prossima. Sull’argomento, più volte e in maniera convincente e competente, ha preso posizione il vescovo emerito del capoluogo regionale, GianCarlo Bregantini, al quale la pace è fortemente legata al suo dna. «Poiché siamo tutti fratelli non possiamo cadere nella rete mortale della indifferenza o della prepotenza sull’altro. Tutto il mondo è ancora duramente provato da una interminabile sequela di guerre che colpiscono i più deboli, gli innocenti. Perciò è doveroso scrivere pagine di speranza all’insegna dei valori fondati nella giustizia e nella solidarietà».
Una tematica, quella della pace, di pregnante desiderio, anche e soprattutto alla luce degli orizzonti che oggi giorno stanno minacciando seriamente l’intera umanità, in primis con gli orrendi e terrificanti conflitti che stanno mettendo a rischio la pacifica convivenza, provocando, quasi ad ogni latitudine, morti, distruzione e forti preoccupazioni derivanti dal possibile uso di armi atomiche e nucleari. Eventi bellici che non si identificano solo ed esclusivamente in quelli più eclatanti, più raccontati, come quelli dell’Ucraina o della striscia di Gaza in Medio Oriente, ma anche in quelli ignoti, più sconosciuti, che gli organi di stampa, quasi volutamente trascurano o preferiscono non portarli a conoscenza, non riferendoli. Sono tantissimi i piccoli o grandi focolai accesi in ogni parte del globo e che ci fanno capire inequivocabilmente come la fraternità sia una meta tutta da conquistare, in tutto l’universo. Piuttosto che creare alleanze di pace nel nostro mondo terreno, per diffondere germi di gioia e di amore, si preferisce generare divisioni e guerre, andando a gonfiare le economie dei paesi costruttori di armi, perché, in fondo, poi, di questo si tratta.
Al momento, riferisce una organizzazione non convenzionale, sono una sessantina gli scontri in tutta l’area terrestre. Quelli principali, cinque o sei, li conosciamo: oltre alla guerra Russo-Ucraina e la guerra di Gaza, o Israele-Palestinese, abbiamo il conflitto in Afghanistan, la guerra civile in Myanmar, la crisi dello Yemen e il conflitto in Etiopia. Solo l’amore pacificherà il mondo. Benedetto XVI, il Pontefice emerito, scomparso il 31 dicembre 2022 e sepolto nella Basilica di San Pietro il 5 gennaio 2023, che ha lasciato il testimone a Papa Francesco alla guida della Chiesa, ha indicato a chiare note la strada da seguire per uno sviluppo umano integrale nella carità e nella verità. «La convinzione di essere autosufficienti e di riuscire ad eliminare il male nella storia, solo con la propria azione ha indotto l’uomo a far coincidere la felicità e la salvezza con forme immanenti di benessere materiale e di azione sociale. Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano». La pace è nata con l’uomo visto che tutti siamo figli a Dio e dunque dovremmo essere tutti fratelli, ma sappiamo benissimo che le spallate in direzione avversa, in ogni epoca, hanno spesso avuto il sopravvento perché gli egoismi, i personalismi, gli interessi, di qualsiasi natura, anche religiosa, hanno trovato sempre giustificazioni perché l’uomo, per il suo io, ha sempre cercato di scaricare sull’altro le proprie colpe e responsabilità. «Non bisogna mai stancarsi della pace», ci ammonisce Papa Francesco. Ed è questo l’invito che facciamo nostro e che sentiamo di rivolgere alle persone di buona volontà, in occasione di questa quarantatreesima giornata mondiale, che la Chiesa stessa, però, ha istituito nel 1967 ed osservata per la prima volta il primo gennaio 1968. Il messaggio del pontefice per la giornata mondiale della pace di quest’anno, ha puntato sul tema “Intelligenze artificiali e pace”. “Prima di tutto la pace” è il tema della marcia, invece, che oggi si tiene ad Assisi. Prevista la partecipazione di una nutrita rappresentanza della nostra regione.

Michele D’Alessandro

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