Figlio di un comandante di stazione che della caserma aveva fatto davvero una porta di speranza, Salvatore Luongo si è insediato ieri come comandante generale dei Carabinieri.
Emozionato il giusto, consapevole del ruolo e del percorso di sacrifici, dedizione e competenze che gli è “costato”, il 62enne nato a Napoli ma cresciuto a Venafro – dove il papà Antonio dal 1972 ha diretto l’articolazione locale dell’Arma – ha preso il testimone dal generale Teo Luzi nella cerimonia che si è svolta alla caserma “Salvo D’Acquisto” alla presenza delle più alte cariche istituzionali e delle autorità militari, civili e religiose. A Roma anche il sindaco di Venafro Alfredo Ricci.
«Nei tempi in cui viviamo – ha detto il ministro della Difesa Guido Crosetto nel suo intervento – le istituzioni hanno bisogno di sentire una sicurezza sempre più forte, ne hanno bisogno i cittadini. Questi ultimi hanno bisogno dell’Arma, di ognuna delle 7.000 stazioni, di simboli di legalità. Hanno bisogno di sicurezza non solo fisica, ma nel termine ontologico. Sono convinto che lei (Luongo, ndr), il Comando generale, tutti i suoi colleghi e ogni Carabiniere, possano nei prossimi anni contribuire a rafforzare l’Italia in un momento che sarà sicuramente complesso».
È stato proprio Crosetto a sottolineare l’importanza del fatto che «il figlio di un comandante di stazione di un piccolo paese del Molise può diventare comandante generale dell’Arma».
Dopo aver ringraziato la presidente del Consiglio Giorgia Meloni per il nuovo incarico, Luongo ha delineato il prossimo futuro dell’Arma: «Deve continuare a utilizzare le tecnologie e controllare lo spazio cibernetico per contrastare il crimine. L’Arma è stata creata per garantire sicurezza alle comunità che ci sono affidate, attraverso la stretta sinergia tra istituzioni. Sarò sempre al fianco dei Carabinieri, ma sarò determinato contro chi macchia la divisa, senza scendere a compromessi».
Ha aggiunto ancora: «Le nostre preziose stazioni presidiano i territori e devono essere sempre considerate porte della speranza, l’Arma poi deve continuare a massimizzare l’uso della tecnologia sia in funzione preventiva che repressiva, sfruttando anche le reali potenzialità dell’intelligenza artificiale». E citato Seneca: «Molte cose, non è perché sono difficili che non osiamo farle, ma è perché non osiamo farle che sono difficili».

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