di Don Salvatore Rinaldi
Viviamo in un tempo di mutamenti rapidi e imprevedibili che la persona fatica a rielaborare: tempo della fragilità dei legami e della invasività delle tecnologie, di accesso di informazione e di spettacolarizzazione dell’affettività, di ipersessualizzazione da parte di media e pubblicità che, mentre esortano gli adulti a restare permanentemente giovani, trasformano i bambini in piccoli adulti, di cui devono imitare l’aspetto e il comportamento. Si diffondono nuovi modi di intendere i legami e di vivere gli affetti: coesistono, gli uni accanto agli altri, modelli fra i più vari quanto ai ruoli di genere e alle forme di famiglia (nucleare, allargata, ricostituita, omosessuale, formata da una sola persona o da unioni multipersonali). A ciò si aggiunge il cambiamento dei comportamenti sessuali nei giovani con l’anticipazione del primo rapporto sessuale e l’aumento del numero dei partner senza legame affettivo. Se il corpo è un accidente o un’appendice di sé, è chiaro che la differenza sessuale appare ininfluente, frutto dei condizionamenti sociali, diffusi e interiorizzati, che hanno diviso il mondo in registri opposti soffocando la libera espressione di sé. Nell’ approccio personalista, invece, il corpo sessuato è considerato come essenziale e coestensivo della psiche e dell’ intelletto della persona, per cui il vissuto corporeo struttura l’identità. La differenza sessuale non si riduce all’anatomia di un corpo, ma è spazio inviolabile e orizzonte di senso che si innalza all’incontro generativo tra maschio e femmina. Per questo può solo essere donata. Nell’approccio personalista emerge la dimensione relazionale della sessualità, centrata sul legame d’amore come suo ideale orizzonte di senso: non si tratta di godere dell’altro, ma di nutrirsi reciprocamente nello spazio comprensivo di una relazione intima ed esclusiva. La sessualità in questa prospettiva, anziché essere centrata sui diritti individuali, è pensata come attesa dell’altro; si rivolge a tutte le dimensioni della persona desiderata: corpo, cuore e intelligenza; è impregnata di gratuità e protetta dalla fiducia nel rapporto. L’istituto del matrimonio, per farci rientrare le nuove forme di unione, si rischia di trasformarlo in una forma giuridica polivalente, indebolendone in questo modo “la differenza specifica”: ne viene che, da patto esclusivo e permanente fra un uomo e una donna, uniti nella totalità delle loro dimensioni e intrinsecamente generativi, esso viene mutato, dall’approccio revisionista, in «unione emotiva», una forma di sentimento reciproco nell’ottica della soddisfazione, in piena indipendenza dall’ottica della fecondità. Se togliamo l’unione comprensiva di un uomo e una donna e l’atto generativo intrinseco a questa unione, il matrimonio sarà recepito in un’ottica di contratto a tempo determinato e sostituito con forme più deboli di legame (altro è riconoscere le inevitabili fragilità della famiglia, altro è salutare la sua rottura come una conquista di civiltà); se è vero che ci si sposa meno, è vero anche che il diritto al matrimonio è invocato come questione di giustizia sociale; se è inteso come luogo che spegne l’amore, esso gode anche di una accresciuta importanza psichica; se è più fragile e favorisce le rotture, aumenta anche la disponibilità a risposarsi. L’affermazione di una uguaglianza, presunta senza differenza, sta causando una profonda crisi di identità su cosa, davvero, sia rimasto del maschile e del femminile, e forse mai come in questa epoca, la relazione uomo-donna è stata spesso ridotta a luogo di un conflitto perenne, rischio di sopraffazione reciproca, lasciando spazio solo al perseguimento della realizzazione personale, che considera l’altro come oggetto per la ricerca esasperata del piacere, slegato da ogni legame affettivo. Nel Parlamento italiano è in discussione una proposta di legge (nota come ddl Cirinnà) che contiene, tra le altre cose, due nodi problematici: l’equiparazione nei fatti dell’unione civile al matrimonio e la possibilità di adozione del figlio del convivente (stepchild adoption), nato da una precedente unione. Il matrimonio, nella storia della società occidentale, riconosce la peculiarità della relazione uomo-donna, regolando l’ordine delle generazioni. Il dato di realtà ci dice che solo in questo rapporto, al di là delle manipolazioni della tecnologia procreativa, è possibile che la vita abbia inizio. E questo dato è meritevole di uno statuto speciale che tutte le altre unioni, pur nel rispetto delle specificità, non hanno. Gli studiosi dell’età evolutiva ci dicono che per un bambino è meglio crescere con un papà e una mamma. Nel caso di una coppia omosessuale c’è la scelta di escludere la figura genitoriale del genere opposto ai due partner. Potrà esserci il grande amore dei “due papà” o delle “due mamme”, ma rimane l’impossibilità del figlio di avere una figura di riferimento del genere mancante, un vuoto che resta. Diverso è il discorso sulla stepchild adoption: tale norma, da un lato potrebbe essere considerata una misura di civiltà per rendere più accettabile il vissuto dei bambini, che potrebbero risentire di una certa instabilità in mancanza di figure adulte di riferimento riconoscibili, dall’altro, però, rischia di essere considerata la via legale per l’approvazione della maternità surrogata, con ricadute etiche fortemente problematiche. Avendo dissociato coniugalità e genitorialità, ma anche genitorialità biologica e sociale, la stessa definizione di genitorialità si va modificando: prosperano il numero di madri (biologica, genetica, gestazionale o surrogata, sociale, co-madre) e le forme di monogenitorialità, omogenitorialità e co-genitorialità (un uomo e una donna non legati affettivamente che progettano un figlio biologico in comune, spartendosi l’onere della crescita e vivendo in nuclei familiari diversi). Di fronte alla moltiplicazione delle funzioni genitoriali, si avvia una revisione della figura del genitore, definito come individuo che si occupa di ogni aspetto della crescita del bambino. Si impone in questo modo una visione funzionalista della genitorialità. Il dono della vita sarà sottoposto al rigido controllo della funzionalità e all’arbitrio del singolo o sarà ancora l’incarnazione della parola d’amore tra un uomo e una donna che, nell’intreccio dei desideri, aprono un orizzonte sconosciuto a loro stessi? Il diritto a un figlio biologico di un adulto single o omosessuale non si scontra col diritto del figlio a conoscere e mantenere un legame con entrambi i genitori? Prima di tutto sottolineo che la differenza sessuale è una differenza relazionale e irriducibile, alla cui origine sta il diverso modo di disporsi a entrare in rapporto, con sé e con l’altro, nella generazione e nella sessualità (dimensioni che comprendono la complessità di pensieri, fantasie, desideri, paure, al di là di ogni natura). Ed è un diverso modo di stare al mondo nella quotidianità. La trasmissione della vita proviene dal dono di una mancanza iscritta nella nostra corporeità sessuata (da soli non si è generativi). È perciò frutto di un limite, il limite di un corpo sessuato, il quale non è un ostacolo o una pena, piuttosto, questa mancanza (o limite o differenza) è la cosa più preziosa che abbiamo, perché essa è il “posto vuoto” custodito per l’altro. Infatti, se mi bastassi o se nell’altro amassi ancora la mia immagine riflessa, allora mi chiuderei in me, non riuscendo ad avere a che fare con l’altro. Ma senza di lui non saprei neppure di essere come sono. Si tratta di un cammino che dura fino all’ultimo respiro, dove si sperimentano anche l’opacità, le ferite, la fatica, la solitudine, perché non si smette mai di essere due anche mentre si cerca di esser uno.
(su Primo Piano Molise in edicola oggi, nella rubrica settimanale del lunedì “Fede e Società” a cura di don Salvatore Rinaldi)
A Don Salvatore Rinaldi, nel giorno della sua festa, auguri!
Ai tempi di Venafrum l’orgoglio maggiore era quello di poter affermare Civis romanum sum. Oggi il nostro orgoglio di venafrani è dire il Cives anni 2015 è Don Salvatore Rinaldi. Un giusto riconoscimento a un uomo che sa infondere ai giovani e ai meno giovani energia e forza, speranza e determinazione nell’affrontare le difficoltà personali e sociali. Assieme a Don Salvatore un saluto anche a tutti coloro che lo aiutano nell’Associazione antiusura San Pietro Celestino nell’opera difficile di tradurre le buone intenzione in buone azioni. Buona salute a Don Salvatore per la sua missione terrena!
Antonio Masi