Filippo Poleggi, segretario generale de L’Altritalia Ambiente, ragiona sul referendum di domenica 17 aprile. Questo il suo contributo sul petrolio.

È necessaria l’estrazione del petrolio nei nostri mari? Se ci teniamo al livello “c’è, ce lo prendiamo”, “se non lo prendiamo noi lo prendono gli altri” abbiamo lo sguardo corto, tutto sommato di una piccola realtà di consumo che per piccoli contributi ammazza un altro bene, ben più grande. Dobbiamo allargare lo sguardo al mondo per fare la scelta giusta, guardare ad esempio agli Stati Uniti che nel 2005 consumavano quasi 21 milioni/barili al giorno e producevano quasi 7  milioni di barili al giorno, nel 2011 hanno consumato circa 19 milioni e prodotto circa 8 milioni di barili/giorno. Cito solo questi dati per necessità di sintesi, la citazione ci serve a capire in che ordine di grandezze si muove il mercato mondiale delle fonti energetiche. Sulla base dei dati ufficiali il sistema nord americano ha “restituito” al mercato globale circa cinque milioni e mezzo di barili/giorno. Si dirà che la riduzione è compensata dall’aumento del consumo in Cina ed India, ma la Cina è in riconversione industriale per passare dai “prodotti spazzatura” a un sistema di maggiore qualità così come l’India punta a produzioni innovative e d qualità.

Ma cos’è accaduto?  Non è solo l’effetto del crollo del prezzo del combustibile fossile per la guerra in Africa e Medio Oriente. Anche con la pace auspicabile ma purtroppo non immediata non si tornerà al monopolio dell’Opec con il prezzo imposto. L’autonomia raggiunta dagli Stati Uniti e numerosi nuovi giacimenti come quello in Egitto e quelli del Nord del mondo che con le nuove tecnologie si avviano ad essere commercialmente convenienti sta cambiando lo scenario del mercato dell’energia. Le nuove tecnologie migliorano il rendimento dei pozzi tradizionali con il fracking, hanno messo a regime la perforazione orizzontale, fanno crescere il tight oil, rendono sfruttabili le sabbie canadesi e aumentano la produzione del gas di petrolio liquido. Siamo quindi dinanzi a un mercato delle fonti in grande, rapido mutamento  con una caratteristica complessiva: aumento e diversificazione dell’offerta a costi e prezzi più convenienti per molto tempo; questo ci fa uscire dal condizionamento del passato, la paura dell’esaurimento delle fonti. Naturalmente non sostengo una spericolata e infondata tesi della non necessità della ricerca di fonti fossili, vi saremo dipendenti ancora per molto nonostante  i rapidissimi e sorprendenti mutamenti. Voglio invece sostenere che non abbiamo necessità d’impiccarci alla torre di una trivella, calcolando il danno corrispondente per mancato beneficio. Nemmeno sostengo il ritorno ad un epoca di scialo, ma che, rispetto alle trivelle marine, per l’Italia può essere molto più conveniente tenersi chilometri e chilometri di spiagge favolose e praticare una politica di  approvvigionamento intelligente, accorta e flessibile su un mercato specifico sempre meno rigido.

Resta sempre valido l’obiettivo di rendersi non dipendenti, cosa non facile e non rapida, sempre da affidare allo sviluppo delle fonti rinnovabili di sole, vento, geotermia, tenendo presente che in Italia vi sono impianti realizzati e non utilizzati, con in più il  futuro onere (vicino per il fotovoltaico) dello smaltimento degli impianti obsoleti.

Resta a noi la realizzazione della diversificazione delle fonti, la più importante, a me pare, è la sfida individuale e collettiva dell’efficienza energetica.

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