Il Molise è una regione – lo insegna la storia – dove a volte urlando si ottiene qualcosa. Di recente, tanto per fare un esempio, i lavoratori della Gam (o di altre grandi aziende) si sono visti garantire dalla Regione la proroga della cassa integrazione.
L’economia di questa terra, o almeno quello che resta dell’economia, la reggono però tantissime piccole e medie imprese che da sempre vanno avanti con le loro forze.
In Molise, dunque, se ti chiami Gam e alzi la voce ottieni – legittimamente sia chiaro – qualcosa. Se ti chiami Primo Piano Molise e Teleregione e aspetti da quattro anni che si concretizzi una riforma in cui hai creduto e che ti avevano assicurato avrebbe cambiato il settore, una riforma in base alla quale hai investito e ampliato il corpo redazionale, creando nuovi posti di lavoro, può accadere che resti deluso.
È avvenuto quando la nuova legge di sostegno all’editoria tardava ad arrivare. Ne ostacolavano l’iter anche tentativi di modifica che ne avrebbero vanificato la portata. E nel frattempo restava in vigore una norma che, senza criteri oggettivi, nell’elargizione dei contributi alla carta stampata assicurava più fondi a chi era arrivato prima in edicola. Decidemmo, in ragione di quella delusione ma comunque col cuore, di devolvere in beneficenza la quota che per il 2013 spettava a Primo Piano Molise: poco più di 60mila euro. La metà alla Casa degli Angeli ‘Papa Francesco’, dove don Franco D’Onofrio e la sua Caritas alleviano quotidianamente le sofferenze di chi non può mettere neanche un piatto a tavola. L’altra metà è stata utilizzata per acquistare apparecchiature utili a gestire le emergenze pediatriche per il reparto del Cardarelli.
Chi dona non deve dirlo, è vero e giusto, altrimenti sminuisce la portata del suo stesso gesto. Stavolta, però, sentiamo di dover fare eccezione. Ce ne scusiamo, ma siamo convinti che l’ineleganza ci verrà perdonata. In questi giorni abbiamo visitato, insieme a Mirella Ricci, che con la sorella Sabrina edita Primo Piano Molise, il reparto diretto con straordinaria professionalità e umanità dalla dottoressa Maria Lucia Di Nunzio e abbiamo constatato insieme agli operatori dell’ospedale regionale l’utilità dei macchinari. Con uno di essi è stata allestita una stanza dedicata h24 alle emergenze. L’apparecchiatura monitora costantemente le condizioni dei bambini ricoverati con problemi gravi sotto tutti i punti di vista: il respiro, il cuore, le funzioni vitali essenziali dunque. Per i medici e gli infermieri che, sotto organico e con abnegazione fuori dal comune, assistono i piccoli della Pediatria e della Terapia intensiva neonatale, un piccolo aiuto che fornisce loro ausili tecnologicamente all’avanguardia. Piccolo davvero, perché ci sarebbe bisogno di interventi assai più strutturali per metterli nelle condizioni di svolgere il loro lavoro in maniera rispondente alla grande professionalità che ogni giorno, senza pensare ai turni e alla stanchezza accumulata, mettono in campo. Argomento, tra l’altro, affrontato con il direttore sanitario dell’ospedale, Luigi Di Marzio, che ha voluto onorarci della sua presenza.
Uno dei motivi per cui abbiamo rotto una regola importante, svelando un gesto di beneficenza, è quello di rendere onore pubblicamente ad un reparto d’eccellenza della sanità pubblica regionale. E indicarlo ad esempio. Anche e soprattutto ad una classe politica – ad ogni livello – che spesso pensa ad altro. Una sana provocazione per dimostrare che si può fare. Si può andare avanti con le proprie forze anche quando le condizioni sono oggettivamente proibitive. Ma questo non può diventare un boomerang per le aziende sane della regione.
Per essere più concreti e diretti: non è giusto che le istituzioni prestino sempre e solo attenzione in ragione del numero degli occupati. L’operaio della piccola azienda ha lo stesso diritto di portare un tozzo di pane a casa che ha il suo ‘collega’ della multinazionale, o il giornalista della piccola impresa editoriale. Probabilmente la politica è più ‘attratta’ da taluni imprenditori, ma in uno stato di diritto non può valere la regola che chi urla di più sopravvive.