“Un lavoratore di una azienda con sede nella zona industriale di Termoli nel mese di febbraio 2009 è stato licenziato a causa di una presunta e sopravvenuta “inidoneità fisica” a svolgere le proprie mansioni, giudizio questo non avvallato dall’Asrem locale che, nel successivo mese di marzo 2009, emetteva il proprio parere – assolutamente vincolante in questi casi – di “idoneità parziale.” Il dipendente ha quindi proposto un ricorso urgente, rigettato perché il poter aver accesso al TFR (come se questo non fosse salario differito!!!) non lo pone nel diritto di poter intraprendere un ricorso urgente e, successivamente, nel dicembre 2009, un ricorso invia ordinaria al competente Tribunale di Larino chiedendo la reintegra nel proprio posto di lavoro. Il Giudice designato, dopo due anni di causa (!!!), il 30 novembre 2011, dà ragione all’azienda e indica in 60 giorni il termine per il deposito della sentenza. Ad oggi, tutto tace e, così, al lavoratore è impedito di proporre appello contro la decisione. In poche parole, dopo tre anni di odissea giudiziaria il lavoratore non vede la fine del primo grado del proprio giudizio. Va detto che la situazione economica in cui versa l’ex dipendente non è delle migliori: mutuo, famiglia a carico e spese ordinarie che stanno, pian piano, logorando la vita dello stesso”.
“Qual è il principio costituzionale che consente di far valere le proprie ragioni se ormai il livello economico di indebitamento del soggetto in questione lo pone nelle condizioni di non potersi più difendere? – chiede l’organizzazione sindacale. “I giudici, che hanno una professionalità massima e conseguenzialmente retribuita, devono rispettare maggiormente i cittadini italiani, altrimenti le leggi che chiedano conto di tale professionalità, da loro avversate ma approvate in Parlamento, avranno sempre maggiori consensi tra l’opinione pubblica”.