Una volta ristrutturato, all’incubatoio di Bojano lavoreranno subito in 34. A regime, perché l’azienda prevede di aumentare gradualmente la produzione, fino a 60. Al macello, una volta ricostruito, in 100.
Al tavolo del ministero dello Sviluppo, durante una riunione fiume, i numeri della ripartenza della filiera avicola del Molise targata Amadori. Alla riunione l’ad del gruppo romagnolo Romani (nella foto con il presidente Flavio Amadori), l’assessore regionale Carlo Veneziale, i tecnici che stanno seguendo la vertenza e la consigliera giuridica del governatore Frattura Carmela Lalli, l’amministratore della Gam Giulio Berchicci, i sindacati di categoria territoriali e nazionali Fai Cisl, Flai Cgil e Uila Uil. Definita una prima bozza di accordo, almeno quella fra Ministero, Regione e azienda (che farà da accordo quadro stabilendo la cornice degli investimenti, dei finanziamenti e del trasferimento dei beni). Da firmare poi anche un accordo sindacale. E qui la partita si gioca con una variante. Perché sui numeri, il tipo di contratto e la tempistica di riavvio dell’attività la parola passa gli operai. Ci sarà un’assemblea a Bojano a cui parteciperanno anche i segretari nazionali.
Passi avanti, dunque, ieri. Restano alcuni nodi. Intanto, pare sia stata posta e finirà nell’intesa la questione di una manleva rispetto alla clausola sociale inserita dal giudice nel provvedimento che ha sancito l’aggiudicazione dei beni ad Agricola Vicentina, il richiamo al trasferimento di azienda che in base all’articolo 2112 del codice civile significa che tutti i 280 contratti in capo a Gam passano all’acquirente. Dettaglio, di un certo peso, che può essere superato con un accordo in deroga firmato dai sindacati (ma era circolata anche la voce di una richiesta di liberatoria ad ogni singolo lavoratore). Rimane, di sicuro per l’incubatoio, il nodo avventiziato. Il contratto proposto è quello dei florovivaisti e per 130 giornate annue (i 60 dunque sarebbero da intendersi 30+30). Per il macello non sono filtrate certezze sul contratto ipotizzato da Amadori. In questo caso, però, c’è prima di tutto da mettere nero su bianco la tempistica: l’ad del gruppo romagnolo, a dicembre, ha dichiarato che lo stabilimento produttivo ripartirà fra tre anni. Infine, resta un altro nodo, questo però da sciogliere con i curatori di Gam, Logint e Agria Holding che hanno messo in vendita i beni. Riguarda, in realtà, il macello. In sostanza Amadori chiede di separare la parte dedicata alla prima lavorazione (contenuta nel primo lotto che Agricola Vicentina si è aggiudicata) dal resto degli impianti (compresi nel secondo lotto) per garantire autonomia da un eventuale diverso acquirente che lì potrebbe avviare la produzione. Logico pensare che questa condizione sia considerata essenziale a Cesena per pagare i 9,1 milioni offerti a fine settembre e poi rivelatisi vincenti sul pareggio del concorrente.
A Roma si tornerà il 15 febbraio. E il gruppo romagnolo si aspetterebbe di firmare le intese.
Parola d’ordine: lasciateli lavorare. Fate agire chi è nel settore da anni, chi ne ha fatto il lustro e non ha trovato ostacoli laddove si è insediato. Noi saremmo i primi se continuassimo sulla strada dei dinieghi, dei SE e dei MA. Adesso basta!