Per quanto sia ormai da mesi in prima pagina sui giornali e nei titoli dei tg, secondo i sindacati la vertenza Gam deve fare un ulteriore salto di qualità. Allargarsi a tutti i livelli istituzionali. Diventare cioè ‘la vertenza’ per antonomasia anche perché, lo ammettono le organizzazioni, è l’unica delle tante del Molise ad avere le caratteristiche per essere risolta. Ma per arrivare a soluzione è la Regione a dover fare di più, dicono i rappresentanti nazionali e quelli territoriali delle categorie. Come? Aumentando le risorse a disposizione per le politiche attive a sostegno di chi non sarà ripreso a lavorare da Amadori. L’ipotesi per chi voglia usufruire dell’autoimpiego è di 20mila euro ciascuno. «Una miseria», taglia corto Enrica Mammuccari, segretaria della Uila Uil.
Garanzie, dunque. Questo chiedono. Garanzie che permettano di arrivare ad un accordo con il secondo gruppo dell’avicolo in Italia che non ha proprio fatto fare i salti di gioia. Ma che con la cornice giusta, con l’assunzione di responsabilità della politica, diventerebbe più digeribile.
Questa la sintesi dell’assemblea che ieri ha visto arrivare a Bojano anche i vertici di Fai Cisl (Anselmi), Uila Uil (Mammuccari) e Flai Cgil (Palazzoli). Stamattina un gruppo di lavoratori sarà coi sindacalisti in Consiglio regionale. Non c’è seduta ma incontreranno i capigruppo. Domani in pullman andranno a Roma, dove alle 14 è previsto l’incontro al Mise. Un vertice da cui l’ad del gruppo Amadori Romani contava di uscire con gli accordi definiti, firmati. L’accelerazione è legata al fatto che entro l’8 marzo la controllata Agricola Vicentina dovrà pagare il prezzo dei beni che si è aggiudicata a novembre. Quel che accadrà domani è un punto interrogativo. Non ci sono le condizioni per firmare adesso, spiega Sara Palazzoli della Flai ai microfoni della Tgr Molise.
A Bojano un pomeriggio non facile. Nella prima parte dell’assemblea – cui partecipa anche il sindaco della città Marco Di Biase – i lavoratori si fanno sentire coi segretari nazionali, per alcuni tratti contestati, sospettati più o meno velatamente di essere già convinti di siglare un patto che prevede 60 operai avventizi all’incubatoio, dieci negli allevamenti e un centinaio al macello quando, fra non meno di tre anni, riaprirà. Man mano che i responsabili nazionali delle categorie intervengono, però, la rabbia scema nei loro confronti. Amadori è l’ultima chance per la ripartenza della filiera: se non proprio chiaramente e con questi termini, è il concetto più volte messo in luce alle maestranze. Dunque, lo sforzo deve essere di tutti. Da Amadori si aspettano il piano industriale. Dalla politica più di quel che ha messo sul tavolo finora. E anche dal Ministero, dice a margine della riunione Franco Spina della Cgil: perché sul prolungamento di eventuali ammortizzatori per coprire i tre anni necessari a ricostruire il macello non ci sono certezze. Quelle deve fornirle la sede ministeriale. Lì domani, aggiunge Raffaele De Simone, «andremo a ribadire tutti i contenuti del documento approvato all’unanimità» nell’assemblea della scorsa settimana. Tra i contenuti anche la richiesta ad Amadori di cedere almeno in parte sull’avventiziato e impegnarsi ad assicurare alcuni posti a tempo indeterminato.
C’è un punto rimasto sottotraccia anche ieri: la volontà dell’azienda di superare la clausola sociale che il giudice ha inserito nel provvedimento di aggiudicazione dei beni: l’articolo 2112 del codice civile che prevede il trasferimento dei 280 contratti Gam all’acquirente. Basta un accordo in deroga? E poi cosa prevede un accordo in deroga? Che, a parte coloro che saranno riassunti dall’azienda di Cesena, gli altri – gli esuberi – non avrebbero nulla a pretendere. Al di là della forma, un contenuto amaro, indigesto per le maestranze interessate. Un nodo che, tutti lo sanno, prima o poi verrà al pettine.