I tempi, calati nella realtà, non sono più quelli del cronoprogramma illustrato al ministero dello Sviluppo economico mesi fa per il rilancio della filiera avicola molisana. Era un cronoprogramma di massima, su cui le organizzazioni sindacali avevano fatto affidamento e lo avevano veicolato agli interessati. Nell’intesa, naturalmente, il gruppo Amadori è stato ‘chirurgico’, abbottonatissimo nelle previsioni. Ogni passaggio è concatenato a un altro. Ma, di fatto, negli ambienti la voce che in autunno l’incubatoio avrebbe riaperto era ricorrente. Oggi non tanti ci scommetterebbero, i tempi sono più lunghi.
A novembre scade la cassa integrazione per i circa 270 addetti e – al netto del rinnovo agevolato dal doppio pronunciamento delle Camere – una prima stima prevedeva che per quella data l’incubatoio potesse realisticamente i battenti, o giù di lì. A patto che però i lavori di ristrutturazione partissero già in primavera, servono 10 mesi per ristrutturare l’impianto. Il contributo pubblico, per questo asset, è previsto attraverso un bando a valere sul Psr. L’avviso sarebbe pronto, pochi giorni alla sua pubblicazione. Poi dovrà essere assegnato. Questi, verosimilmente, gli step prima di vedere ruspe e mezzi all’opera a Bojano. Nelle ultime settimane, comunque, sono stati parecchi i sopralluoghi di tecnici e dirigenti romagnoli. A rallentare le cose sarebbero le difficoltà e le ‘interferenze’ – derivanti anche da un assetto societario complesso che si ripercuote sulla proprietà di edifici e impianti – che il secondo brand dell’avicolo in Italia dopo l’aggiudicazione pronunciata dal tribunale a novembre ha sempre rimarcato.
A Roma, la scorsa settimana, il primo briefing fra Regione e Amadori dopo i decreti di assegnazione dei beni (incubatoio, macello e centri allevamento se li è aggiudicati la srl del gruppo Agricola Vicentina per 9,1 milioni di euro). Il confronto avrebbe riguardato soprattutto il contratto di sviluppo che sarà firmato con il ministero dello Sviluppo economico per riqualificare lo stabilimento di Monteverde. In questo caso i tempi, pure sulla carta, sono più lunghi. L’ad del colosso romagnolo Romani ha indicato in 36 mesi la ripresa produttiva. L’aiuto statale e regionale, che nell’intesa siglata al Mise a fine febbraio è quantificato nel 40% dell’investimento complessivo (per il macello circa 30 milioni in totale), passerà attraverso il contratto di sviluppo. Entro l’estate dovrebbe essere presentata l’istanza a Invitalia.
Sul fronte sindacale, invece, a fine giugno (una data indicativa c’è, è il 23) si terrà il confronto chiesto dalle tra sigle confederali (Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil) per verificare i contenuti dell’accordo che riguarda i lavoratori da rioccupare (170 in totale a regime e in massima parte con contratti a tempo determinato), soprattutto in relazione alle liste. Amadori ha preso come riferimento gli operai che lavoravano negli impianti attinenti al primo lotto (quello che ha acquistato), fuori dunque in 68 che sono stati conteggiati come afferenti alle terze, quarte e quinte lavorazioni (la cosiddetta divisione alimentare che deve essere ancora messa in vendita dalle procedure di Gam, Logint e Agria Holding). Ma le lamentele sono state numerose: tra i 68 più di qualcuno rivendica di aver lavorato al macello. Chiuse le operazioni di acquisizione dei beni (che sarebbero ora davvero alla conclusione), l’azienda aveva assicurato di volersi sedere ad un tavolo e affrontare le eventuali anomalie. Il 23 a Bojano, l’incontro programmato con questo ordine del giorno.
Infine, sempre prima della pausa d’agosto i curatori saranno in grado di pagare i creditori. In particolare, il liquidatore della Gam avrebbe chiuso i conteggi. Ad attendere la seconda tranche del proprio credito (la prima è stata erogata quando la Regione ha versato il suo contributo al concordato di circa 10 milioni) i lavoratori e soprattutto numerosi allevatori. Quelli che costituiscono l’ossatura della filiera, senza i quali nessuna ripartenza sarebbe possibile. ritai

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