Arriva all’esame del Senato il Ceta: l’Aula di Palazzo Madama dovrà ratificare l’accordo per il libero scambio con il Canada che la Commissione europea ha firmato il 30 ottobre 2016. Il via libera dell’europarlamento è giunto il 15 febbraio 2017 con 408 sì, 254 no e 33 astenuti: a favore hanno votato i tre principali gruppi (Ppe, Socialisti e Democratici e Alde) e i Conservatori, mentre si sono espressi contro l’Europa delle Nazioni e della Libertà, l’Europa della Libertà e della Democrazia Diretta, oltre a Verdi, Sinistra Europea e alcuni parlamentari dei S&D. Tutto potrebbe essere messo in discussione ancora. Secondo le leggi Ue, infatti, se un solo Stato membro decide di non ratificare l’accordo, ne viene meno l’effettività.
Nei primi di giugno un po’ in sordina il governo Gentiloni ha presentato un disegno di legge per la ratifica del trattato da parte dell’Italia che oggi approda a Palazzo Madama. La Coldiretti da tempo sta facendo le barricate perché lo ritiene «assolutamente penalizzante per le nostre produzioni agricole ed agroalimentari di qualità. Un trattato che, qualora fosse malauguratamente adottato dal Parlamento Italiano – avverte l’associazione che il 5 luglio protesterà davanti a Montecitorio – significherebbe la morte certa del Made in Italy».
Ma perché il Ceta preoccupa tanto? Esso prevede l’abolizione del 98% dei dazi doganali per import-export con l’Ue e tra i punti fondamentali vede la possibilità per le imprese dei due paesi di partecipare reciprocamente a gare di appalto pubbliche, il riconoscimento di figure professionali come l’architetto, l’ingegnere, il commercialista, e come “fiore all’occhiello” – dicono i detrattori dell’accordo – la tutela dei marchi di prodotti tipici europei quali il Cognac, il Prosciutto di Parma, il Parmigiano Reggiano e così via.
Considerato da molti uno degli accordi commerciali più significativi mai siglati, per la Coldiretti invece sarà «una torta indigesta» oltre che la premessa per «importare dal Canada un milione e 200mila tonnellate di grano duro». «È a tutti noto – ricorda l’associazione dei coltivatori – che in quello stato è permesso l’uso del glifosato in preraccolta, un prodotto cioè i cui residui si ritrovano poi nel grano con le conseguenze immaginabili sul piano della salute, dal momento che è ormai pacifico sul piano sanitario che questa sostanza è cancerogena.
Coldiretti Molise, a partire dal 15 di febbraio, ha lanciato il grido di allarme promuovendo una serie di incontri sul territorio e spiegando ai produttori agricoli ed ai consumatori gli effetti deleteri conseguenti al trattato e allertando i propri associati per una imminente mobilitazione.
«Adesso siamo giunti al momento decisivo – dice il direttore regionale di Coldiretti Molise, Saverio Viola – da un paio di giorni è iniziato l’esame dell’accordo Ceta da parte delle commissioni parlamentari e si registra purtroppo una certa qual fretta da parte di talune componenti politiche a voler liquidare velocemente l’argomento».
Coldiretti nazionale è stata ricevuta in questi giorni dai presidenti della Camera e del Senato, i quali hanno entrambi condiviso le preoccupazioni dell’organizzazione, garantendo la massima e più approfondita discussione possibile sia in sede di commissioni, sia nelle Aule, dal momento che è in gioco non solo il futuro dell’intero comparto agroalimentare ma quello della salute e del diritto a conoscere l’origine dei prodotti da parte dei consumatori.
Il 5 luglio Coldiretti scenderà in piazza: 1500 produttori agricoli provenienti da tutta Italia, il massimo che la piazza può contenere, si ritroveranno a protestare davanti a Montecitorio. «Ci sarà anche la delegazione molisana – annuncia Viola – e questo sarà soltanto un primo passo, pronti a mettere in piedi a livello nazionale e territoriale forme di protesta sempre più eclatanti.
Nel mondo agricolo lo faremo in splendida solitudine, dal momento che tutte le altre organizzazioni di rappresentanza, specialmente le più significative dopo la Coldiretti, brillano per il loro assordante silenzio, quando piuttosto non hanno mancato di lanciare il proprio plauso ad un accordo che, alla prova dei fatti, si dimostra assolutamente deleterio per il comparto».