I sindacati sono fiduciosi. I ritardi, gli ostacoli sono convinti si supereranno. Soprattutto puntano il dito contro la Regione: è Palazzo Vitale che secondo le sigle confederali deve far in modo che ci sia il rilancio della filiera avicola e la ricollocazione, nella futura nuova azienda o altrove, degli addetti che non andranno in pensione a breve. Fra gli ex operai e impiegati di Bojano e il gruppo Amadori, invece, la scintilla non è ancora scoccata. Non sono le dichiarazioni ufficiali a dimostrarlo, quelle al massimo esprimono cautela. È il sentiment, quello che ricorre nelle chiacchierate informali o sui social. Dove perfino la notizia della convocazione degli operai dell’incubatoio è stata presa con scetticismo. «Credo che saranno pochi gli ex operai che ritorneranno a lavorare nella nostra ex azienda». O anche, a commento di altri articoli di Primo Piano, «chi vivrà vedrà», «i soldi dell’area di crisi dove sono? Perché credo non si farà niente senza quei soldi».
Dall’arrivo improvviso di un colosso che alla filiera molisana non si era mai interessato prima – una sorpresa quasi per tutti – all’aggiudicazione dei beni e poi al percorso non facilissimo verso l’intesa firmata a Roma il 28 febbraio. Nel frattempo, anche l’unico asset che non aveva mai cessato l’attività (l’incubatoio) ha chiuso i battenti con la promessa di una riapertura dopo la ristrutturazione. D’altro canto, un capitolo di storia si è chiuso. Le condizioni occupazionali della Sam e dei tempi di Arena non sono più riproducibili, erano straordinarie anche anni fa, oggi sono improponibili sia nel numero degli addetti sia nella tipologia contrattuale.
Basta questo a spiegare la sfiducia che si respira fra le maestranze? Sfiducia che stride, è oggettivo, col peso e il rilievo del brand che ha acquistato i beni. Amadori dichiara tempi medio-lunghi, differenziati: un anno dalla ristrutturazione per l’incubatoio, non meno di tre per il macello.
Finora nessuna dichiarazione – non alla stampa locale almeno – che sia andata oltre la soddisfazione (per l’aggiudicazione, per l’accordo raggiunto) e la conferma dell’impegno a rilanciare la filiera molisana. Il contenuto dell’accordo, meticoloso e dettagliato, è una successione di impegni reciproci (Regione, Ministero, azienda) e concatenati: accade “B” se prima è accaduto “A”. Impegni che ruotano intorno ad un progetto di investimento di assoluto rispetto: 40 milioni circa in totale, con la contribuzione pubblica del 40%. E mentre per i lavori da eseguire all’incubatoio è stato pubblicato il bando del Psr a cui attingere, per lo stabilimento l’azienda deve presentare domanda a Invitalia per l’accesso ad un contratto di sviluppo.
La ex Arena, da quando è “ex”, ha visto l’interesse di numerosi privati. Con obiettivi, dimensioni, storia e capacità differenti. Qualcuno è entrato più in sintonia con operai e sindacati (alcuni), altri meno. Nessuno però concretamente aveva mai preso il posto della Gam nella conduzione delle attività (perché le trattative si erano tutte arenate) prima della società abruzzese Dasco, che ha gestito l’incubatoio in affitto per 40 giorni fino all’aggiudicazione definitiva ad Agricola Vicentina (al termine della lunga battaglia di offerte, pareggi e rilanci e poi legale). Non mancarono le polemiche dei sindacati: il brusco risveglio, dal punto di vista contrattuale, ci fu allora (e le condizioni sono state poi accettate nell’intesa col colosso romagnolo). Anche quella parentesi poi si è chiusa. E gli operai dell’incubatoio alla fine ne hanno un buon ricordo.
Ora tocca ad Amadori. Unico proprietario dei beni della filiera, unico imprenditore del settore avicolo che in Molise ha tutto il necessario per produrre e portare i prodotti sul mercato: i suoi allevamenti, gli impianti, il suo marchio, una concorrenza “sterilizzata” (Aia, ad esempio, porta le uova dei suoi allevatori molisani a schiudere in impianti romagnoli adesso). A Cesena ragionano coi modi e i tempi delle grandi imprese: niente facili entusiasmi e passi ponderati. Però hanno dichiarato da subito un «interesse strategico». Parole che non sono bastate a conquistare gli operai. Senza contare il pesante silenzio degli allevatori. Entrambi protagonisti della filiera. Loro, probabilmente, aspettano passi e fatti concreti. Perché allora capiranno se l’interesse strategico è quello alla ripresa produttiva.