Si chiama “L’Italia vista da vicino” ed è una rubrica curata da un connazionale emigrato in Canada, Teddy Colantonio. E’ una rubrica pubblicata ogni settimana sul Cittadino Canadese, il settimanale più letto in Nordamerica da chi ha origini del Bel Paese e spesso propone anche episodi e aneddoti provenienti e vissuti in Molise, terra cara allo stesso Colantonio. Questa settimana, nel numero 40 del 2017, interessante il suo racconto di un viaggio in autobus da Termoli a Fiumicino, compiuto accanto a un migrante. Occasione per rimettere indietro gli orologi e pensare in un flashback, quando fu lui a partire oltre Atlantico. «Emigrazione e integrazione: stazione degli autobus di Termoli, deserta alle 4.50 del mattino, quando ci arrivo per prendere l’autobus per Fiumicino. Lascio le valigie in macchina e mi avvicino al centro della stazione per vedere se, a quell’ora, c’era qualche anima in giro. Incontro un giovane di colore che guardava il tabellone delle partenze. Gli chiedo se va a Roma, ma mi dice che la sua auto si è rotta e sta cercando di tornare a casa a San Salvo, un paese ad una trentina di chilometri di distanza. Aspettando il mio pullman, abbiamo una decina di minuti per chiacchierare. Viene dal Mali ed è arrivato su un barcone in Sicilia, due anni fa. Adesso raccoglie pomodori, uva e olive a San Salvo. Parla un buon italiano, ma la conversazione continua in francese. Mi dice anche che parla un po’ di arabo, perché prima della morte di Gheddafi lavorava in Libia nel campo dell’elettronica. Gli chiedo anche se, oltre all’attuale lavoro, sta cercando di inserirsi nella sua specialità: quasi rassegnato, sollevando le spalle, mi dice che se non c’è lavoro per gli italiani, figurarsi per gli immigrati! Sogna di lasciare l’Italia per qualche paese del Nord Europa o la Francia. Gli andrebbe bene anche il Canada, ma non è facile emigrarvi. Arriva il pullman per Fiumicino, che fortunatamente fa una fermata a Vasto, che non è lontana da San Salvo. Ci sediamo negli ultimi sedili e durante la mezz’ora che dura il viaggio quasi non ci parliamo, immersi nei nostri pensieri: lui che smanetta, nonostante l’ora, sul suo telefonino e io che ripenso alla mia partenza dal mio paese nel 1959. All’arrivo, gli offro un caffè e stringo la sua mano callosa, facendogli tanti auguri».

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