Probabilmente sarò fortunato, non lo escludo. Ma non posso escludere il contrario. Ovvero, che quanto mi è accaduto sia frutto di un sistema che sicuramente va migliorato, implementato, perfezionato, rivisto, rimodulato, rafforzato. Va ancor meglio riorganizzato. Ma, nel piccolo della mia modestissima esperienza, posso senza dubbio affermare che l’ospedale Cardarelli funziona. Come sento allo stesso modo il dovere – l’ho fatto in passato dando voce ai lettori e lo farò ogni qual volta ce ne siano fondate ragioni – di ribadire che ci sono tante, forse troppe, criticità.
Ma se fa notizia un episodio “cattivo” (presunto o tale perché chi denuncia ritiene sempre di essere dalla parte della ragione) – e quando accade noi giornalisti siamo sempre alla ricerca dell’approfondimento, del colpevole di turno da “massacrare”, cerchiamo il particolare, la foto, il dettaglio, chiediamo “le carte” – deve, ritengo, avere lo stesso risalto anche la buona sanità. Che, soprattutto in Molise viene più spesso associata alle strutture private convenzionate e non a quelle pubbliche.
Se non altro per una questione di statistiche, cose che vanno bene (perché oggi di quello ci occupiamo) accadono nella sanità privata ma anche in quella pubblica. Probabilmente, però, le strutture private sono meglio organizzate nei rapporti con gli organi di informazione. Come dire, sanno “vendere” i propri prodotti.
Forse è anche una questione di approccio e di pretese. Quando il cittadino-utente si rivolge ad una struttura pubblica ha talvolta la presunzione di immaginare che tutto è dovuto, che «quel medico o quell’infermiere lo pago anche io con le mie tasse»; che «gli impiegati del pubblico impiego lo stipendio non lo guadagnano con il sudore» (purtroppo accade, è vero. Ma è sempre esistita l’eccezione che conferma la regola).
Vengo al dunque. L’altra sera un familiare ha accusato un malore, un fatto serio. Purtroppo chi era con lui non aveva la possibilità di accompagnarlo in ospedale. Per tutta una serie di ragioni, soprattutto di ordine psicologico, non era consigliabile mandare l’ambulanza a casa. Ma il ricovero era necessario e anche a stretto giro. Ho chiesto aiuto ad un parente che si è immediatamente reso disponibile al trasporto. Nel frattempo ho raggiunto telefonicamente il Pronto soccorso dell’ospedale di Campobasso. Dall’altro capo del telefono c’era il dottor Pasquale Moio. Non lo conosco, non ho avuto ancora la fortuna di incontrarlo personalmente, ma so di aver avuto a che fare con un professionista di alta caratura. A lui ho fornito alcune informazioni circa i farmaci che assume il mio familiare e l’ho brevemente ragguagliato sulla sua storia clinica. Mi ha tranquillizzato già la sua voce, il suo modo di fare.
Quando è accaduto il fattaccio ero fuori regione. Sono arrivato al Cardarelli intorno alle 20. Ho chiesto informazioni al Pronto soccorso, mi hanno fatto parlare con la dottoressa Luisa Maiorini. Moio aveva terminato il turno.
Premetto, intanto, che nonostante le stanzette fossero tutte molto affollate e anche all’ingresso c’era almeno una decina di persone in attesa, ho notato ordine, cordialità da parte di tutti gli operatori e soprattutto medici e infermieri (compreso la dottoressa Maiorini che mi ha lasciato diverse volte durante il colloquio) che correvano a 100 all’ora per far fronte alle cose da fare. Altro che privilegi da pubblico impiego. Al Pronto soccorso del Cardarelli si suda eccome. E non per ragioni climatiche: per correre da un stanzetta all’altra e rimediare alle croniche carenze di personale.
Spero, lo spero davvero, di non cadere nella retorica. Ma anche la dottoressa Maiorini è stata straordinaria, eccellente. È rimasta ben oltre il suo orario di lavoro (ore non minuti), le ho visto fare cose – inutile e superfluo scendere nel dettaglio – con tale scrupolo e tale perizia che la mia mente fino a quel momento non immaginava. Non ero solo. Non sono stato l’unico, quindi, ad avere contezza che la dottoressa avesse abbondantemente valicato il limite dell’ordinario.
A prescindere dalle condizioni di salute della persona per la quale è stato necessario ricorrere alle cure dei medici, sentivo il dovere di dire grazie al dottor Moio e alla dottoressa Maiorini: cito loro per dire grazie a tutti i primari, i medici, gli infermieri, gli ausiliari e quanti contribuiscono, in un ambiente in continua evoluzione e che paga lo scotto di carenze decennali, a far sì che la sanità molisana, nel caso di specie mi riferisco a quella dell’ospedale Cardarelli, mantenga un buon livello nell’erogazione delle cure. Dico grazie a tutti coloro che la professione medica la svolgono lasciandosi guidare dal cuore, che comprendono che hanno di fronte una persona ancor prima che un paziente, ancor prima che un numero. Una persona che quando arriva in ospedale ha timore, si sente persa, è debole. Una persona alla quale anche una parola, una sola, può portare sollievo.
Da cittadino utente ricordo a me stesso che per malori lievi, per patologie meno gravi, è consigliabile rivolgersi al medico di base, alla guardia medica, al punto di primo intervento e non intasare il Pronto soccorso. Ciò, quando accade, può complicare il lavoro di chi talvolta ha pochi istanti per decidere come e cosa fare se ha di fronte un caso particolarmente complesso.
Sarei folle se a pochi mesi dalle elezioni volessi giudicare l’operato del commissario Frattura, della struttura commissariale, dell’Asrem: non ne ho né l’intenzione né le competenze. È innegabile, però, che Paolo Frattura almeno ci sta provando a rimettere un po’ d’ordine nei conti e nelle cose, pagando con il prezzo dell’impopolarità. Possiamo discutere a lungo e anzi ritengo utile farlo su cosa va bene e cosa non va, ma confrontandomi con più di qualche primario dell’ospedale Cardarelli ho avuto conferma che la riforma, nonostante criticità, ritardi e carenze strutturali, comincia a dare qualche frutto. Lo spero. Solo ed esclusivamente nell’interesse del Molise e dei molisani.
Luca Colella