Puntuali alle 16,30. Ci accoglie una segretaria garbata ce ci porta subito da “Lui”. Michele Iorio, praticamente il re del Molise per tantissimi anni. Una piccola stanza nel palazzo del Consiglio regionale grigio e periferico. Ci aspettavamo qualcosa di diverso. Lui sta dietro la scrivania. Elegante nel suo vestito scuro con cravatta e con un mezzo sigaro in bocca che non accende mai. Pensavamo di trovarlo frastornato, avvilito da tutto quello che si dice in questa già campagna elettorale che si preannuncia maligna e perniciosa. Invece eccolo lì: sereno, allegro, quasi sorridente. Ci sorprende e ci rendiamo subito conto che l’indiscusso carisma della sua presenza rende ininfluente tutto il resto. Sa che questa è un’intervista “confessione” e ne è quasi divertito. Nessuna remora nessuna preoccupazione. Si racconterà. Cominciamo.
Presidente ci racconti della sua infanzia e della sua famiglia.
«Sono nato a Morrone del Sannio nel ‘48 e proprio qualche giorno fa ho compiuto 70 anni. In famiglia eravamo in cinque: i genitori, una sorella, un fratello e naturalmente io, il più grande. Una famiglia normale, serena. Una grande gioia di vivere. E poi, nel pieno dell’esuberanza giovanile la tragica notizia. Era un giorno del ‘75 quando arrivò la notizia: papà e mamma erano morti in un tremendo incidente stradale. Papà aveva 50 anni e mamma 49. Non si può raccontare. Non esistono parole. La nostra vita cambiò. Giovanissimi e già orfani. Nessuna soddisfazione professionale, nessun incarico politico potrà mai togliere quel velo di tristezza e dolore che mi accompagnerà per tutta la vita. Ma, questa tragedia spiega anche le mie scelte di vita. Papà era un sindacalista ed un politico. Consigliere regionale e mamma impiegata».
Ci racconti dei suoi studi.
«Nel ‘53 ci trasferimmo ad Isernia dove frequentai il Liceo classico e subito dopo l’università a Roma per la laurea in medicina che conseguii con il voto di 110 e lode».
Come ha vissuto il ‘68, era già un leader?
«Non proprio un leader, ma facevo sentire la mia voce all’interno dei movimenti studenteschi. Vivevo alla casa dello studente ed ero di sinistra anche se mio padre me lo rimproverava, perché lui era democristiano. Sognavo, già allora, una società migliore, più giusta. Mi resi però subito conto delle difficoltà di tradurre il sogno, l’utopia in realtà. Terminati gli studi mi impegnai nella Democrazia cristiana senza, però, mai pensare di fare politica».
E dopo?
«Nel ‘73 entrai nell’ospedale di Isernia nel reparto di Chirurgia. Grandi difficoltà lavorative. La mancanza di esperienza mi limitava, cozzando con le ambizioni dei colleghi e le loro giuste aspettative. Ma avevo un grande maestro, il primario di chirurgia dottor Giuseppe Di Pietro. Non l’ho mai dimenticato».
Entriamo nel più intimo. Ricorda il primo amore?
A questo punto il presidente comincia a ridere sornione e divertito.
Perché presidente? Ne ha avute tante che non ne ricorda?
«No, assolutamente no. So di sorprendere ma è la verità. Ho conosciuto mia moglie alla scuola media. Il liceo insieme e poi l’università a Roma. Io medicina lei filosofia. È stato un amore lento, lungo, consolidato. Non ci siamo mai più lasciati. Sono arrivati poi tre splendidi figli maschi ed adesso mi ritrovo anche con sei nipotini che mi regalano l’euforia di una novella primavera esistenziale».
E l’amicizia?
«Tutto il bene possibile. È addirittura fondamentale per una giusta vita di relazione alla quale ho dato sempre un grande valore. Poi, naturalmente tra amici e nemici un giusto e normalissimo equilibrio. Tranne che in casi eccezionali, non ho mai avuto nemici, rancorosi, ma solo competitor. Certo, l’invidia è stata una inevitabile nemica ma io non ho mai odiato nessuno. L’esperienza politica mi ha sempre portato a superare i risentimenti. Eppure… preferisco però non addentrarmi molto in questo disonesto percorso».
Più soddisfazioni o delusioni?
«Moltissime soddisfazioni e veramente poche amarezze. Questo grazie, soprattutto, alla stima ed all’affetto dei molisani che hanno capito ed apprezzato sempre il mio impegno. Non avrei potuto chiedere o avere di più. Credo di aver ricambiato. Mi sono impegnato sempre e, comunque, per questa mia piccola e splendida regione. Certo, le rinunce sono state tantissime. Ho cominciato giovane come sindaco di Isernia e consigliere provinciale. Contestualmente anche l’ospedale dove la Chirurgia era la mia grande passione. Quando però fui eletto alla Regione con il primo incarico assessorile dovetti abbandonare la mia attività medica. Fu il più grande sacrificio. Il camice bianco, però, non l’ho mai dimenticato. È la mia seconda pelle. Ma, complessivamente, ne è valsa la pena».
Chissà quanti tradimenti.
«Sì tantissimi, ma fa parte del gioco. Poi, le superiori esigenze della politica mi hanno sempre portato a superare i tanti risentimenti. A volte, però, è difficile. Questo l’aspetto peggiore. A volte non te l’aspetti e magari ti chiedi: ma come proprio lui? Sì, proprio lui. Ed è veramente triste».
Tra questi, naturalmente, il presidente Frattura. Si è parlato tanto della vostra amicizia.
«Sì, è vero. L’ho conosciuto per il padre e l’ho accompagnato nella prima fase della sua attività imprenditoriale e politica quando cominciò alla Camera di commercio. Questa volta lo devo e lo voglio dire. Non me l’aspettavo. Credo di essere stato veramente tradito in politica naturalmente. L’opportunità, a volte, diventa opportunismo. Tanti forse avrebbero fatto la stessa cosa. Bisogna abituarsi ed adeguarsi alla fragilità di alcuni valori. Non ho però rancori. Adesso solo contatti istituzionali: lui presidente ed io all’opposizione. Domani, chissà”.
E con l’onorevole Patriciello?
«Difficile da spiegare. Quello che ci ha quasi sempre diviso è soprattutto un fatto caratteriale. Lui più imprenditore ed io forse più politico. Devo però dire che anche in questo ultimo ambito ha raggiunto notevoli soddisfazioni. Parlare di inimicizia è eccessivo. Tante volte incomprensioni. Tutto nella vita è però rimediabile. Non credo di avere grandi responsabilità in questo rapporto così fragile e fluttuante. Ognuno ha le sue aspettative. A volte, non coincidono».
Presidente ha un po’ perso il sorriso. Parliamo della sua famiglia.
«Beh, della moglie ho già detto. Dei tre figli anche, così pure dei nipotini. Devo solo aggiungere che i miei ragazzi, nonostante i miei tanti impegni che non hanno consentito una presenza assidua, li ho sempre seguiti con cura ed affetto. Uno fa l’ortopedico al Sant’Andrea di Roma dove risulta essere molto apprezzato, l’altro è manager in una grande azienda ed è sempre in giro per l’Italia. L’unico che lavora in Molise è il chirurgo vascolare, sta al Cardarelli di Campobasso. Figli così sarebbero, naturalmente, grande orgoglio per la famiglia e per la comunità di appartenenza. Per loro non è così. Lo dico con grande amarezza. Qualunque cosa facciano o avessero fatto sarebbero stati sempre appesantiti dal fardello di “raccomandati”. Che miseria. Questa è veramente una cosa che non ho mai sopportato. È una vergogna. Parliamo del chirurgo vascolare, una professione dove si richiede competenza e professionalità straordinarie. Ha partecipato al concorso per l’abilitazione non in Molise ma a Ravenna. Quando ha fatto la richiesta per il Cardarelli non c’erano di fatto concorrenti. Ma, per la gente tutto questo naturalmente solo grazie al papà. Vi sembra normale? Riuscite ad immaginare cosa significa per un giovane che ha dedicato la vita allo studio ed all’impegno sopportare il peso di questa infamia? Ma si sa, quando si diventa cima bisogna sopportare gli strali dell’invidia e della cattiveria».
Si è mai sentito solo?
«Ci sono delle situazioni nelle quali la solitudine è quasi necessaria. Quando, per esempio dovevo prendere delle decisioni su delle attività imprenditoriali che erano decisive per i lavoratori, ero solo. Ma, devo dire e con orgoglio: non ho mai consentito che un’azienda chiudesse. Ho sempre tutelato i lavoratori. Questa è storia. Un prezzo a volte alto ma il valore del lavoro per me è al di sopra di tutto. Guardate, adesso il Molise imprenditoriale è un deserto. Io non l’avrei consentito. E tornando alla sua domanda le devo dire che quella solitudine è stata preziosa».
Ha avuto tanto dai molisani, cosa chiede ancora?
«Fiducia. Oggi potrei dire di essere appagato, ho avuto come dice lei tanto da questa gente. È venuto il momento in cui la serenità per quanto ricevuto e fatto mi stimola il bisogno irrefrenabile di restituire tutto il possibile a questa regione che sembra in agonia».
Come trascorre il tempo libero?
«Ne ho pochissimo, guardo spesso la televisione e poi strimpello la chitarra. Di tanto in tanto canto».
Aldo Barletta