«L’Italia, continua a non essere un Paese per donne»: lo afferma in una sua nota la consigliera di parità della provincia di Campobasso e autorità per i diritti e le pari opportunità della Regione Giuditta Lembo.
«Mai come in questo momento – si legge in una nota a firma della Lembo – occorre necessariamente convenire che è necessario predisporre un documento politico che raccolga l’elenco delle azioni da realizzare per permettere finalmente all’Italia di diventare un Paese per donne, ripartendo dalle regioni e dai piccoli territori. Un documento che nei prossimi giorni sottoporrò all’attenzione dei candidati alla presidenza della Regione Molise e che evidenzierà diversi temi di cui fino ad ora non mi sembra aver sentito parlare tra i vari obiettivi riportati nelle agende politiche. Il Global Gender Gap Index 2017, del World Economic Forum, vede infatti l’Italia all’82esimo posto su 144 Paesi analizzati, e addirittura al 117esimo posto quando consideriamo la dimensione economica. Occorre comprendere che – prosegue Giuditta lembo – l’enorme vantaggio dell’occupazione femminile è che crea altro lavoro. Le famiglie a doppio reddito consumano molti più servizi delle famiglie monoreddito. Per ogni 100 donne che entrano nel mercato del lavoro si possono creare fino a 15 posti aggiuntivi nel settore dei servizi: assistenza all’infanzia e agli anziani, prestazioni per i vari bisogni domestici, ricreazione, ristorazione, turismo, ecc… Molti studi hanno evidenziato che un aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro del 25% entro il 2025 può aggiungere l’1% alle previsioni di crescita del Pil».
Ma i risultati nazionali e regionali sono ancora lontani dal livello ideale per colmare il gender gap tra uomini e donne per quanto riguarda l’empowerment politico, cosi come più volte segnalato dai dati del World Economic Forum.
«È ormai evidente a tutti e a tutte – continua la consigliera di parità – che garantire un maggiore equilibrio nei luoghi decisionali produce un beneficio non solo alle donne, ma alla società e alla democrazia nel suo complesso. Purtroppo siamo ad un punto fermo anche in politica nonostante interventi normativi apparentemente garantisti. Infatti, partendo ad esempio dai risultati delle recenti elezioni a livello nazionale si può constatare che alla Camera sono entrate solo 210 donne su un totale di 630 deputati, il 33%; al Senato ne sono entrate 107 su 315, il 34 %. Nel 2013 alla Camera le donne costituivano il 31%, mentre al Senato erano il 29%. I miglioramenti sono davvero minimi! Ci aspettavamo sicuramente risultati migliori perché il Rosatellum prevede espressamente strumenti per promuovere la parità di genere. I dati migliorano se si considerano solo gli eletti all’uninominale: alla Camera 83 donne su un totale di 232 deputati (36%) elette col sistema maggioritario. Al Senato 45 donne su 116 eletti (39%). Per quanto riguarda la composizione rispetto al partito risulta che nel centrodestra, le donne sono il 30,5 percento alla Camera e il 31,8 al Senato. Nel Movimento 5 Stelle, le donne sono il 41,6 % alla Camera e il 38,4 al Senato. Per il centrosinistra le donne sono il 30,6 % dei deputati e il 33,9 % dei senatori. Su base regionale, i dati sono diversi tra i due rami del Parlamento: al Senato è il Centro ad aver eletto più donne, mentre alla Camera ne ha elette di più il Sud. Il Nord presenta quote molto simili sia alla Camera sia al Senato. In conclusione si può condividere che il Rosatellum pur prevedendo l’alternanza di genere nelle liste di partiti e collegi, una misura che dovrebbe garantire una rappresentanza di donne non inferiore al 40 % alla Camera e al Senato, ha invece prodotto un effetto flipper. I partiti hanno ovviato all’alternanza di genere candidando le stesse donne su liste diverse. E purtroppo le donne hanno accettato! Così le candidate sono state “spalmate” in più collegi mantenendo nella realtà al di sotto del 40% la quota. Le pluricandidature femminili sembravano vantaggiose ma da subito si sarebbe potuto notare che nella realtà il sistema si poteva trasformare, come poi è avvenuto, in un boomerang per le donne. Con questo sistema, infatti, le donne dovendo necessariamente risultare elette in un solo collegio, in caso di vittoria in più collegi, avrebbero dovuto lasciare automaticamente il posto a chi le seguiva nella lista, che per legge era un uomo! Scarsa conoscenza dei meccanismi elettorali da parte delle donne? Poco altruismo al femminile? O remissività al potere decisionale dei partiti? Vedremo cosa accadrà alle prossime elezioni regionali in Molise – conclude la consigliera Lembo – dove le premesse sono date dalla presenza di quattro candidati alla presidenza della Regione tutti uomini!».