Giacca di velluto verde, maglia e camicia verde scuro, pantaloni e scarpe marroni e pigna all’occhiello. Siamo abituati a vederlo così nei suoi servizi per Striscia la notizia. Ma ben presto anche a Campobasso Luca Abete svestirà i panni di inviato del tg satirico di canale 5 per vestire ancora una volta quelli di ‘messaggero’ di coraggio e ottimismo.
L’inviato infatti farà tappa in città domani mattina, alle ore 11, presso l’aula Genovesi del II edificio polifunzionale dell’Unimol con il tour motivazionale #Noncifermanessuno, progetto nato nel 2014 che ogni anno attraversa la Penisola da nord a sud.
L’incontro è una vera e propria conferenza-spettacolo scandita da video, gag e testimonianze: un’esperienza extra didattica coinvolgente che emoziona e fa riflettere, diverte e commuove. Un esperimento di comunicazione rivolto ai giovani che mira a far riacquistare fiducia in se stessi e speranza nel futuro. È lui stesso a spiegarlo in un’intervista esclusiva per Primo Piano Molise.
Da inviato di Striscia ad oratore e comunicatore. Come nasce questo tour motivazionale?
«L’idea nasce da una sperimentazione sul campo. Nel corso degli anni ho incontrato moltissimi studenti per parlare di legalità, comunicazione e aspetti inerenti il mio lavoro ma mi sono accorto che a loro interessava molto di più sapere come fossi arrivato a Striscia. Un interesse spesso un po’ malizioso perché mi chiedevano se dietro ci fosse una raccomandazione o qualcuno che mi avesse spianato la strada. Quando poi mi sono aperto raccontando il mio percorso mi sono accorto del valore terapeutico che aveva questo tipo di approccio. La mia storia, più che in un racconto, si è trasformata pian piano in una confessione tra amici e allora ho iniziato a capire quanto fosse utile condividere le mille situazioni in cui, come loro, mi sono sentito inadeguato, insicuro e in cui pensavo di non potercela fare. Molto spesso i ragazzi si sentono soli e preferiscono rinunciare quando si trovano davanti ad una montagna troppo ripida da scalare. Da lì poi ho notato che effettivamente cambiava il loro sguardo e ho realizzato che avevano davvero bisogno di questo, cioè vedere che un ragazzo come loro era riuscito a realizzare degli obiettivi. Anche io sono stato uno studente universitario. Per racimolare qualche soldino ho iniziato a lavorare come animatore per bambini, poi ho fatto il clown, ho condotto un programma su una rete locale e altri lavoretti. Infine sono arrivato a Striscia. Ho pensato dunque di mettere su un format, partito come un progetto sperimentale. Oggi questo progetto è diventato un aggregatore di buone cause, una vera e propria campagna sociale che non si limita solo ed esclusivamente all’ambiente universitario ma che arriva un po’ dappertutto coinvolgendo un numero sempre più ampio di persone. E se all’inizio le università quasi non ci volevano, ora fanno a gara per essere coinvolte nel progetto».
Quali sono le principali difficoltà che incontrano i giovani di oggi?
«C’è un concetto sbagliato di successo. Per molti equivale ad avere migliaia di followers su Instagram, ricoprire una posizione da top manager solo perché si ha una laurea in Economia, avere tanti soldi, essere sempre al passo con le tendenze della moda. Per carità, questo aspetto non riguarda tutti i ragazzi, non voglio generalizzare. Ma per colpa di questo tipo di messaggi, con cui veniamo bombardati ogni giorno, si è un po’ perso di vista quello che è il vero concetto di successo. Il successo, quello reale, è la giusta dimensione che si riesce a raggiungere attraverso l’equilibrio tra ciò che una persona fa e il mondo che lo circonda. Ci sono persone ricche e potenti che poi tentano, spesso riuscendoci, di porre fine alla propria esistenza. Se il successo fosse davvero ciò che vogliono farci vedere, quelle persone sarebbero ancora vive e felici. La verità dunque è un’altra: non è tanto ciò che hai ma quello che sei che ti può dare davvero la possibilità di essere vincente nella vita. Gli ostacoli ci sono e ci saranno per tutti. Tutti abbiamo problemi e sfide da affrontare. La differenza la fa il modo in cui viviamo queste difficoltà quindi ogni ostacolo, piccolo o grande, può essere superato o comunque non deve mai intaccare la nostra voglia di vivere, il nostro amore per la vita. Se pensi e vivi in maniera positiva sarai circondato automaticamente di positività. Se vivi male un problema, ti incupisci, ti chiudi e rinunci sicuramente quello sarà l’inizio di un flusso di negatività che ti condizionerà per sempre».
Parlando di successi l’Università degli studi di Parma lo scorso anno le ha conferito il titolo di professore ad honorem in “Linguaggio del giornalismo”, mentre il progetto vanta un prestigioso riconoscimento istituzionale, ossia la Medaglia del Presidente della Repubblica e il patrocinio del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Ha inoltre incontrato Papa Francesco parlando di fronte a 7mila studenti. Che significato hanno avuto per lei questi risultati?
«Al di là della soddisfazione personale, la cosa davvero eccezionale è che tutto ciò dimostra che davvero non ci ferma nessuno. Tutto è nato come una follia. Provai a prendere una serie di appuntamenti presso le Università. All’inizio non tutti gli Atenei avevano colto il significato di questa cosa e anche oggi ci sono università che non hanno capito il valore di ciò che facciamo. Però c’è da dire che abbiamo riscontrato fin da subito l’entusiasmo dei ragazzi. All’inizio ne erano incuriositi poi ne sono stati travolti e infine li vedevi al settimo cielo. Questi riconoscimenti sono la dimostrazione che possiamo ancora trasmettere ai ragazzi un messaggio positivo e cioè che con impegno, con originalità e facendo le cose per bene anche un progetto come questo può davvero essere apprezzato. Magari all’inizio costa fatica e ci si trova di fronte a mille difficoltà da superare però alla fine credendoci con costanza, conoscendosi, proponendosi e mettendosi in gioco, si può davvero arrivare lontano».
Una delle piaghe della nostra regione è la mancanza di lavoro. Cosa pensa di chi lotta per rimanere nella propria terra e di chi invece decide di andare all’estero in cerca di stabilità?
«Non bisogna per forza innamorarsi dell’idea di rimanere. Non dobbiamo pensare all’ambiente in cui viviamo. Io sono di Avellino e ho fatto lì il mio percorso creativo, in una città che non viene propriamente definita come la “culla della creatività”. Ma la cosa importante è proprio questa. Imparare a prendere il meglio da qualsiasi contesto in cui ci troviamo. Il consiglio che do ai ragazzi che vivono in piccole realtà è che in questi ambienti c’è la grande fortuna di potersi sperimentare senza fatica. Mi spiego meglio. Se all’inizio avessi iniziato a fare televisione in una città come Milano probabilmente non avrei mai potuto cominciare con un programma tutto mio, cosa che invece è stata possibile ad Avellino. La realtà di provincia non deve diventare un alibi ma un’occasione per allenarsi, farsi le ossa. Poi si può valutare se andar via magari perché ci si rende conto che il proprio percorso merita di salire di un gradino. Non si può dare la colpa alla realtà in cui si vive se non si hanno le possibilità. Resta il fatto che ci sono delle realtà che meritano un riscatto e sviluppi di natura diversa, ma questo è un discorso a parte. Io mi riferisco sempre a quello che possiamo fare noi per noi stessi. Ed è un consiglio facilmente applicabile a tutti i livelli».
Qual è dunque il segreto del successo? Come si realizza un sogno?
«Il segreto del successo non si inventa. Il successo è fondamentalmente una scelta di vita, fatta di azioni concrete e costanti. Personalmente sono sempre stato quel tipo di persona abituata a fare le cose per bene perché reputavo che fare in quel modo le cose fosse una fede. La costanza diventa un modo per sperimentarsi e per tirar fuori il meglio di sé. Poi ci sono mille cose pronte ad intralciare il nostro percorso. I ragazzi passano giorni, mesi,anni a studiare sui libri determinate materie. Ma si dimenticano di leggere l’unico libro che veramente ci interessa: quello del ‘chi siamo’. Facendo questo saremmo capaci di isolare i nostri difetti, superare le nostre paure e capire qual è il nostro talento e il nostro punto di forza. Ecco, se iniziassimo ad analizzarci come se fossimo una materia di studio, tante piccole cose che ci penalizzano le supereremmo e tante cose che invece ci valorizzano ci permetterebbero sicuramente di emergere».
SL

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