Cinisi è un piccolo paese della provincia di Palermo, nel 1978 popolato da poco più di 7mila abitanti. La mattina del 9 maggio (40 anni fa) anche qui arriva la notizia del ritrovamento a Roma, in Via Caetani, del corpo senza vita di Aldo Moro, barbaramente assassinato dopo 55 giorni di prigionia dalle brigate rosse. Ma l’attenzione degli abitanti del paesino è focalizzata su ciò che è accaduto in loco: all’alba, «nei pressi della strada ferrata Trapani-Palermo, all’altezza del chilometro 30+180 viene rinvenuto il corpo di un giovane di origine ignota, ma presumibilmente identificato in tale Peppino Impastato» (relazione del procuratore Gaetano Martorana).
Quel giovane corpo, martoriato e sfigurato dalla cieca ferocia di bestie senza anima, è quello di Peppino Impastato.
Aveva solo 30 anni e solo una colpa: essersi ribellato alla mafia e ai mafiosi. Già questo lo renderebbe un grande Uomo, perché nella Sicilia degli anni ‘70 di persone che si ribellano alla mafia ce ne sono poche, ma che lo fanno come Peppino, nessuno. A ciò si aggiunga che egli stesso proveniva da una famiglia mafiosa: la zia (sorella del padre) aveva sposato Cesare Manzella, capomafia a Cinisi e dintorni, ucciso in un attendato dinamitardo il 26 aprile 1963.
A causa della sua avversione nei confronti della mafia, Peppino viene spesso cacciato di casa dal padre, Luigi Impastato, che non è un mafioso nel senso stretto del termine, ma si mostra sempre disponibile quando necessario…
La madre, Felicia Bartolotta, inizialmente cerca di dissuadere Peppino dalla sua attività contro la mafia, per la pace della famiglia. Ma Peppino non è uno che abbandona le proprie idee e i propri ideali. E in breve tempo riesce ad aggregare anche altri giovani che la pensano come lui, fondando prima un giornalino, “L’Idea Socialista”, e poi una radio autofinanziata, “Radio Aut”. Dal programma da lui condotto, “Onda pazza a mafiopoli”, sbeffeggia sistematicamente i capi mafiosi di Cinisi, dedicando l’appellativo di “Tano Seduto” al capomafia Tano Badalamenti. Per la prima volta Peppino fa nomi e cognomi nel tentativo di rompere il tabù dell’intoccabilità dei mafiosi.
Nel paese dell’omertà e della paura, un piccolo uomo rivela al mondo gli affari e i legami tra criminalità e politica. Peppino racconta i legami tra Stato e mafia.
Il capomafia, Gaetano Badalamenti, non può sopportare oltre tale sgarbo. Il boss convoca il padre di Giuseppe, fornendo un chiaro messaggio: tuo figlio la deve smettere altrimenti troverà la morte.
Luigi Impastato vola negli Stati Uniti, probabilmente per cercare protezione per il figlio Peppino, che continua imperterrito ad informare con un taglio ironico e pungente la comunità sulle collusioni e gli affari tra mafia e istituzioni.
Nel ‘77 Luigi Impastato muore a Cinisi in un incidente d’auto dalle dinamiche poco chiare. Peppino si scaglia contro le persone che si recano a casa della famiglia per porgere le condoglianze, poiché ritenuti, tutti, i mandanti dell’omicidio del padre.
L’8 maggio del 1978 Peppino trascorre la giornata nella sede di “Radio Aut”. Ma la notte scompare. Di lui non si hanno più notizie. Tra gli amici e il fratello, Giovanni Impastato, la preoccupazione è tanta. Lo cercano ovunque, ma nessuno ne sa niente.
Peppino non tornerà mai più a casa. Dopo essere stato rapito, viene portato presso un casolare nelle campagne di Cinisi. Lì lo sfigurano con calci, pugni e pietre. Successivamente, gli esecutori dell’assassinio lo immobilizzano sui binari della ferrovia e lo fanno saltare in aria con una carica di tritolo.
Per i carabinieri della locale Stazione, Peppino muore nel tentativo fallito di sabotare la ferrovia con l’esplosivo. Ovviamente nessuno dei suoi amici crede a questa versione.
Al funerale di Peppino i cittadini di Cinisi non partecipano, ma inaspettatamente arrivano molti giovani da tutta la Sicilia.
Il 14 maggio 1978, alle elezioni amministrative del paese, dove si era candidato come consigliere comunale nelle liste di Democrazia Proletaria, Peppino Impastato viene eletto con 264 voti.
Il fratello Giovanni e sua madre Felicia Bartolotta lottano con tutte le forze per far emergere la verità e fare in modo che l’attività e la memoria di Peppino non vadano perse.
Ci sono voluti 23 anni per accertare e condannare i mandanti della morte di Peppino Impastato: Vito Palazzolo condannato a 30 anni di reclusione e Gaetano Badalamenti condannato all’ergastolo.
Nel 2011 la procura di Palermo riapre le indagini sul depistaggio, indagini ancora in corso.
Oggi la memoria di Peppino vive grazie al Centro siciliano di documentazione Giuseppe Impastato – Onlus. Ma anche soprattutto grazie alla forza di mamma Felicia, che non si è mai arresa. E dopo la morte di Peppino, davanti ai resti del figlio, decide di respingere ogni idea di vendetta e si apre al modo di essere del figlio. La sua è una lotta fatta di parole, di richiesta di giustizia, di denuncia, portata avanti con determinazione: «Ogni volta che vengono giornalisti, io parlo di mio figlio perché tutti devono sapere». In questo modo Felicia continua la rivoluzione del figlio. È la seconda donna a costituirsi parte civile in un processo di mafia, dopo Francesca Serio, madre di Salvatore Carnevale, riuscendo ad ottenere giustizia e a vedere condannati i mandanti dell’omicidio del figlio.
Felicia muore il 7 dicembre del 2004. Ora la sua abitazione è divenuta “Casa memoria Felicia e Peppino Impastato”, un avamposto della resistenza contro il potere e contro la mafia, la testimonianza concreta di un’esperienza di lotta senza remore, di un’intera vita spesa con coraggio e determinazione.
«Io voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda! Noi ci dobbiamo ribellare. Prima che sia troppo tardi! Prima di abituarci alle loro facce! Prima di non accorgerci più di niente!» (Peppino Impastato 5 Gennaio 1948 – 9 Maggio 1978)
Giuseppe Notte

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