Un incubo determinato da un’escalation di atteggiamenti ossessivi e violenti dettati da un amore ‘tossico’ che mina la serenità e spesso la vita della propria preda. Si potrebbe riassumere così il concetto di “stalking” parola di origine anglosassone che significa “cacciatore in agguato”. Quasi sempre dietro questo tipo di violenze fisiche e psicologiche si nasconde un partner, un compagno o un ex marito che non si rassegna alla fine di una relazione o che vuole tenere sotto stretto controllo la propria vittima fino al peggiore degli epiloghi: il femminicidio. Ma come riconoscere, come comportarsi e a chi rivolgersi nel caso in cui ci si ritrovasse vittime di stalking ce lo spiega Giuseppe Fabbiano, consulente legale presso lo studio Iacovino&associati e blogger per il sito di consulenze JustAvv.
Che tipo di reato è lo stalking?
«Si tratta di un reato molto diffuso a livello sociale previsto e punito dal codice penale (articolo 612-bis introdotto dalla recente legge numero 38 del 2009, articolo 7, detta anche “legge sullo stalking”) secondo cui il molestatore può essere perseguito dalla legge attraverso una denuncia-querela per stalking da parte della vittima.
Nei casi in cui invece la vittima fosse minorenne o affetta da disabilità non si renderebbe neppure necessaria una denuncia per stalking: in questi casi infatti il reato sarebbe perseguibile d’ufficio, intendendo con ciò che sarà la stessa procura, laddove ricevesse in qualsiasi modo notizia della molestia, ad attivarsi autonomamente con le indagini senza bisogno di una denuncia formale da parte della vittima. L’autore del reato di stalking è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni».
Come si riconosce uno stalker e quali sono i comportamenti del persecutore compresi nel reato di stalking?
«La legge sullo stalking insieme alla giurisprudenza della Corte di Cassazione hanno disciplinato quali sono le principali tipologie di comportamenti riconducibili al reato di stalking. Tra le varie condotte penalmente rilevanti vengono fatte rientrare, ad esempio: ripetute telefonate, sms, e-mail o messaggi non graditi o dai contenuti osceni; appostamenti fuori dall’abitazione, dal luogo di lavoro o da luoghi abitualmente frequentati dalla vittima; danneggiamento di oggetti di proprietà della vittima; pedinamenti; pubblicazione di contenuti ingiuriosi a scopo sessuale o minaccioso come foto, video o post diffusi in rete (come a titolo esemplificativo ma non esaustivo sui social network); minacce o aggressioni verbali o fisiche alla vittima e/o ai suoi congiunti; aggressioni verbali e diffamatorie in presenza del datore di lavoro con lo scopo di indurre quest’ultimo a licenziare la vittima; apprezzamenti prolungati con invio di baci, sguardi decisamente insistenti e minacciosi.
Essendo il reato di stalking definito come reato abituale, per potersi configurare, è necessario che i comportamenti in esame si ripetano nel corso del tempo.
Affinché si possa configurare il reato la Cassazione ha sancito, con una recentissima sentenza, che per poter parlare di stalking è sufficiente che il persecutore minacci o molesti la vittima anche per sole due volte.
In tal caso quindi non serve che il soggetto compia un gran numero di azioni moleste ma ne bastano semplicemente due affinché si possa configurare il reato».
Quali sono gli effetti sulla vittima?
«Il reato di stalking è un reato molto particolare che produce degli effetti che possono arrivare ad essere in alcuni casi anche estremamente invasivi della vita, delle abitudini e della quotidianità della vittima. Per la realizzazione del reato di stalking è sufficiente che le condotte persecutorie dello stalker abbiano inciso sullo stato di serenità e di equilibrio psicologico della stessa, circostanza che si può manifestare anche sotto forma di stati di ansia, di angoscia o di paura».
Esiste inoltre una nuova forma di stalking: quello giudiziario.
«Lo stalking giudiziario è stato recentemente introdotto dalla giurisprudenza penale della Cassazione (attraverso una sentenza del novembre 2017). Nello specifico, consiste nel tentativo da parte del molestatore di servirsi dei rimedi della giustizia che la legge mette a disposizione di ogni cittadino in maniera del tutto strumentale e priva di fondatezza giuridica, al fine di perseguire la vittima e causare in essa gli stati di angoscia e paura citati in precedenza. Rientra dunque in questa forma di stalking, ad esempio, l’abuso di denunce ingiustificate sporte in modo ripetuto».
Come comportarsi e cosa fare dunque in caso di stalking?
«Quando si viene perseguitati da un molestatore la prima cosa da fare è quella di denunciare l’accaduto alle Forze dell’ordine. Una volta fatto questo la legge consente alla vittima di poter scegliere due strade per porre fine a questa forma di violenza:
La prima è l’ammonimento del questore (azione lieve) qualora la vittima decida di rivolgersi alle forze dell’ordine raccontando quanto subìto dal molestatore affinché, senza che si apra un vero e proprio procedimento penale, esso venga “ammonito” dal questore (articolo 8 della legge numero 38 del 2009) ed invitato a interrompere i comportamenti persecutori e a non interferire più con la vita della vittima, con l’avvertimento che, in caso contrario, potrà essere perseguito penalmente. L’ammonimento è infatti un provvedimento amministrativo e non penale. Nel caso in cui lo stalker dovesse però continuare con comportamenti persecutori, riferendo l’accaduto alle Autorità competenti, questo verrebbe perseguito penalmente d’ufficio.
Il secondo è la denuncia e avvio del Procedimento Penale (azione forte), qualora decida invece di non servirsi del rimedio dell’ammonimento la vittima potrà sporgere denuncia entro sei mesi dall’ultimo avvenimento persecutorio instaurando, così, un vero e proprio processo penale a carico dello stalker».

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