Nel 2065 saremo 236mila. Settantatremila in meno rispetto a oggi. Un manipolo di molisani di cui Svimez stima il numero, non le condizioni economiche e sociali. Di quelle però disegna lo stato dell’arte che, nel Rapporto 2018 che elabora essenzialmente dati del 2017 o del biennio 2015-2016, è ancora una volta preoccupante.
Perché nella sintesi delle anticipazioni al dossier illustrata ieri a Roma alla presenza del presidente Giannola e della ministra del Sud Lezzi c’è un quadro che vede il Molise tuttora in affanno. È l’unica regione del Mezzogiorno che nel 2017 ha visto ridurre il Pil: dello 0,1%. Un valore contenuto, però il resto nel Meridione – ove più ove meno – la crescita ha tenuto.
Nel 2015 e nel 2016, invece, il Pil del Molise era cresciuto (dell’1,3 e dell’1,1%). L’economia della regione è stata sostenuta nel periodo 2015-2017 dalle costruzioni (+26,4%), ma l’industria in senso stretto fa registrare una performance particolarmente negativa (-7,4%). I servizi nel triennio registrano un +2%, mentre langue l’agricoltura (+0,4%).
«Il Molise – il commento del governatore Toma – ha bisogno di interventi infrastrutturali, in sostanza quelli che sono stati illustrati nel mio programma di governo, e di una politica keynesiana di investimenti in opere pubbliche che attivi anche la spesa privata. Questo è l’anno in cui dobbiamo accelerare con i fondi europei e con il Por che è indietro di due anni. In questa maniera nel 2018 il Pil segnerà una risalita».
In linea generale, la crescita dell’economia meridionale nel triennio 2015-2017 ha solo parzialmente recuperato il patrimonio economico e anche sociale disperso dalla crisi nel Sud. La ripresa è trainata dagli investimenti privati, manca il contributo della spesa pubblica.
La recessione, comunque, è ormai alle spalle per tutte le regioni pur se gli andamenti sono alquanto differenziati. Calabria, Sardegna e Campania sono le regioni meridionali che fanno registrare il più alto tasso di sviluppo: rispettivamente +2%, +1,9% e +1,8%. Si tratta di variazioni del Pil comunque più contenute rispetto alle regioni del Centro-Nord, se confrontate al +2,6% della Valle d’Aosta, al +2,5% del Trentino Alto Adige, al +2,2% della Lombardia.
Certo, al di là delle differenze, non basta la crescita economica a risolvere le emergenze sociali del Sud. Anzi, avverte la Svimez, con la ripresa le disuguaglianze si ampliano: aumenta l’occupazione, ma vi è una ridefinizione al ribasso della sua struttura e della sua qualità, aumentano le occupazioni a bassa qualifica e a bassa retribuzione, pertanto la crescita dei salari risulta “frenata” e non in grado di incidere su livelli di povertà crescenti. Senza contare il divario nei servizi pubblici, la cittadinanza “limitata” connessa alla mancata garanzia di livelli essenziali delle prestazioni.
Come sta il Molise dal punto di vista dell’accesso ai servizi? Partiamo dai bambini (da 0 a 2 anni): il 10,7% di loro ha usufruito di quelli per l’infanzia. La media italiana è del 12,6%, quella meridionale del 4,7. Gli anziani: il 5,4% degli ultra 65enni è trattato in assistenza domiciliare integrata. In Italia la media è più bassa, 3%, al Sud ancora di più: 2,5%.
In regione, inoltre, ci sono 5,5 posti letto ogni mille abitanti nei presidi socio-assistenziali e socio-sanitari (dati Istat 2015). La media italiana è 6,4, quella del Sud 3,6.
Ennesima conferma, inoltre: Molise unica regione del Meridione con un saldo attivo fra i ricoveri di pazienti extraregionali e quelli di residenti che invece vanno fuori a curarsi. Il saldo in questione è pari a +789.
Ma il Molise è anche uno dei territori dove si registra una delle percentuali più alte di “povertà sanitaria”. In Italia, nel 2015, l’1,4% delle famiglie si è impoverito per sostenere le spese sanitarie non coperte dal servizio nazionale; nelle regioni meridionali la percentuale sale significativamente raggiungendo il 3,8% in Campania, il 3,4 in Molise, il 3 in Basilicata, il 2,8% in Calabria, il 2,7% in Sicilia; all’estremo opposto, la Lombardia con lo 0,2% e lo 0,3% della Toscana.
I divari si confermano anche riguardo all’efficienza degli uffici pubblici in termini di tempi di attesa all’anagrafe, alle Asl e agli uffici postali. La Svimez ha costruito un indice sintetico della performance sulla base della qualità dei servizi pubblici forniti al cittadino nella vita quotidiana. Fatto 100 il valore della regione più efficiente (Trentino- Alto Adige) emerge che quelle meridionali, ad eccezione della Campania che si attesta a 61, della Sardegna a 60 e dell’Abruzzo a 53, sono al di sotto di 50: Calabria 39, Sicilia 40, Basilicata 42, Puglia 43, Molise 44.
I tempi di attesa sono calcolati in base alla percentuale di file di oltre 20 minuti. All’Anagrafe, in Molise, sono aumentati: dal 10,9 del 2007 al 17,7% del 2016. All’Asl, invece, leggermente diminuiti, dal 51,7 al 49,9. Negli uffici postali, le file sono cresciute: dal 30,5% al 42,1%.
r.i.

 

Fuga record dei giovani Patriciello: è necessario un Piano Marshall

Negli ultimi 16 anni hanno lasciato il Mezzogiorno 1 milione e 883mila residenti: la metà, giovani di età compresa tra i 15 e i 34 anni, quasi un quinto laureati, il 16% dei quali si è trasferito all’estero. E quasi 800mila non sono tornati.
Sono alcuni dei dati più allarmanti emersi dalle anticipazioni del Rapporto Svimez 2018. Un bollettino di guerra.
Su questi numeri concentra la sua attenzione il parlamentare europeo Aldo Patriciello: «Un territorio che perde i suoi giovani è un territorio che perde il futuro. E il Mezzogiorno ha bisogno di tutto, tranne che di perdere ulteriore terreno. Il drammatico calo demografico che nell’ultimo decennio ha colpito il Sud Italia, oltre a riflettere il profondo disagio che impoverisce il nostro tessuto sociale, testimonia che la questione meridionale è tutt’altro che risolta. Inutile nascondersi dietro un dito».
Secondo l’eurodeputato molisano del Ppe siamo già oltre l’allarme. «Fino a quando si continuerà a non affrontare seriamente il nodo della enorme sperequazione presente nella nostra penisola – spiega – sarà difficile ritornare ai livelli di ricchezza pre crisi e arrestare, di conseguenza, l’emigrazione dei nostri giovani. E non lo dico soltanto io, ma tutti i principali centri di ricerca e statistica nazionali ed europei: senza uno strutturale processo di crescita del Mezzogiorno è impensabile generare livelli di sostenibilità economica adeguati per l’intero Paese. A meno che non si voglia istituzionalizzare una volta e per sempre il divario tra Nord e Sud e applicare un principio di darwinismo territoriale in base al quale solo le regioni ricche saranno in grado di sopravvivere e reggere la sfida competitiva, mentre quelle a basso reddito resteranno perennemente indietro. Occorre dunque – afferma Patriciello – recuperare quella centralità politica smarrita negli ultimi anni e realizzare una base su cui costruire un discorso a lungo termine: serve un vero e proprio Piano Marshall per il Sud che sia il frutto di una strategia tra Unione europea, governo e istituzioni regionali. Abbiamo già ampiamente sperimentato l’inefficacia di interventi emergenziali o dettati da particolari circostanze del momento. C’è bisogno invece di invertire la rotta e di dare un segnale di forte discontinuità con il passato: un Mezzogiorno periferia economica del Paese non conviene a nessuno. I dati di questi ultimi giorni – conclude l’europarlamentare azzurro – non fanno altro che certificare una realtà ben nota a tutti ma che stranamente, fino ad oggi, fa fatica ad entrare nelle priorità dell’agenda politica del nostro Paese».

«Un anno perso e non potevamo permettercelo» La Uil pressa la Regione

«Un’altra conferma dell’allarme lanciato mesi fa, quando ci rendevamo conto e ci preoccupava il tempo che trascorreva inutilmente. Un anno perso il Molise non poteva permetterselo e questi drammatici risultati ci danno ragione».
Così la Uil Molise commenta i dati del Rapporto Svimez.
Il Molise unica regione del Sud in cui il Pil è diminuito. E poi il raddoppio, nel Meridione, del numero di famiglie in cui ci sono solo disoccupati e l’emigrazione soprattutto di giovani. A preoccupare la Uil, oltre a questi dati, anche le previsioni secondo cui nel 2018 e soprattutto nel 2019 si rischia un forte rallentamento della crescita prevista, che sarà dell’1,2% nel Centro-Nord e dello 0,7% al Sud. In due anni, quindi, si assisterebbe a un sostanziale dimezzamento del tasso di sviluppo.
«La nostra Regione, come dicevamo poc’anzi, è maglia nera del rapporto, difatti mentre le altre regioni esaminate si barcamenano tra i vari settori, ma comunque scongiurando il segno meno davanti, noi purtroppo siamo gli ultimi nelle percentuali e andiamo in negativo. Nello specifico di qualche comparto, le costruzioni nel biennio 2015-2017 hanno trainato l’economia locale, l’agricoltura perlopiù è rimasta statica, mentre l’industria, vera tragedia, ha segnato un calo di oltre il 7%, proprio a causa della chiusura di tante imprese. Quindi, mentre in altre realtà – dice la Uil – occorre sostenere una debole ripresa, in Molise bisogna ancora agganciarla su diversi settori».
Se la sintesi è la stessa di sempre – elevata disoccupazione giovanile, migrazioni vere e proprie verso altre regioni o estero, scarsi investimenti pubblici, bassissima spesa rispetto ai fondi comunitari e strutturali – pure la ricetta del sindacato guidato da Tecla Boccardo non cambia: «Bisogna velocizzare i processi siano essi amministrativi, burocratici o sulla programmazione. Non possiamo più aspettare rispetto all’avvio delle iniziative legate all’area di crisi e alla Zes, così come sulle cantierizzazione di tante opere pubbliche importanti e strategiche. Dal governo regionale assicurano rapidità, ma stavolta le promesse devono essere seguite da azioni reali, e tangibili e soprattutto immediate. Sarebbe bello smentire per una volta le previsioni come al solito negative e far scoprire a chi lavora sui numeri una regione che ha cominciato a correre».

Un Commento

  1. Ma qualcuno veramente ancora pensa che la ns. classe politica (di qualsiasi colore sia – ammesso che ci sia un colore -) sia veramente in grado di concretizzare una, dico una sola azione positiva per il ns. territorio?
    Ancora non capisco se l’empasse perenne sia dovuta a incapacità o -molto peggio- a volontà.
    Dopo la crisi ITTIERRE iniziata nel 2009, e quella di altri gruppi industriali … SAM, comparto metalmeccanico e, ultimamente, Zuccheificio, il Molise è diventato un deserto, poche opportunità per i giovani che vanno quindi via.
    Vedo e leggo, nel merito, dibattiti e contro dibattiti … ma poche o nulle azioni che possano, anche a medio termine (la bacchetta di Harry Potter non c’è l’ha nessuno), invertire la tendenza.
    Situazioni che potrebbero permetterci di uscire dalle sabbie mobili e rendere il territorio più fruibile/interessante (raccordo autostradale Roccaravindola/A1, elettrificazione della ferrovia Roma/CB, possibile ferrovia CB/Lucera, Parco Nazionale del Matese, Parco regionale dell’alto Molise, area di crisi complessa e non, ZES ecc. ecc.) languono da anni e non vanno avanti -o lo fanno con una lentezza da tartaruga non ninja-.
    C’è la faremo?? Non lo so il cuore mi dice di si a volte la parte razionale mi dice di no …. Io sono stato costretto ad andare fuori a lavorare, ma torno sempre (fortunatamente non sto molto lontano) e spero di farlo in via definitiva un giorno; faccio quello che posso per cercare di migliorare la mia terra.

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