Indagati ufficialmente i 3 titolari dell’azienda agricola Di Vito a Campomarino, per sfruttamento della manodopera e intermediazione illecita. Due Procure al lavoro e 3 inchieste, due delle quali per caporalato e una per il tragico schianto costato la morte a 12 braccianti agricoli africani. A 8 giorni dal drammatico scontro sulla statale 16 primi segnali importanti dalla Magistratura, sia dauna che frentana. Entrambe le Procure di Foggia e Larino, con i procuratori capi Ludovico Vaccaro e Antonio La Rana, che a Larino ha sostituito proprio Vaccaro nell’autunno 2017, stanno cercando di approfondire il quadro indiziario sulle presunte condizioni di sfruttamento dei 12 braccianti africani morti una settimana fa in un incidente stradale in provincia di Foggia mentre tornavano dal lavoro nei campi. All’ipotesi di caporalato stanno lavorando i primi competenti perché in quel territorio è avvenuto l’incidente mortale, i secondi perché in Molise ha sede l’azienda agricola per la quale lavoravano la maggior parte delle vittime, la ditta ‘Di Vito’ di Campomarino. I carabinieri del comando provinciale di Foggia hanno già acquisito i documenti dall’azienda, necessari a ricostruire le condizioni contrattuali di lavoro, orari e compensi, da intrecciare con le dichiarazioni rese dai braccianti sopravvissuti. «Un fenomeno estremamente grave quello del caporalato. Non si può speculare su persone che vivono sul nostro territorio in condizione di estremo bisogno». Lo ha dichiarato all’Ansa, il Procuratore capo di Larino Antonio La Lara che ha aperto un’indagine a seguito della morte di 12 immigrati in un incidente stradale sulla Statale 16 a Lesina durante il trasporto degli operai in campi per la raccolta del pomodoro. «Ci avvarremo di tutti gli strumenti che la legge ci consente per contrastare questa attività illecita – ha proseguito La Rana – Sono già state sensibilizzare le forze dell’ordine per alzare la guardia nel monitorare e reprimere questo odioso fenomeno». Nei prossimi giorni saranno individuate le altre aziende agricole, almeno una pugliese per la quale lavoravano alcuni braccianti deceduti, e altre tre per cui gli stessi migranti avevano già lavorato. Si indaga anche sul trasporto dei migranti nei campi. Sin dalle prime ore successive all’incidente più simile a un’ecatombe Magistratura e forze dell’ordine hanno stretto i controlli sui trasporti di immigrati nei campi, due arresti, tra le province di Foggia e Campomarino e altri sequestri di mezzi, quasi sempre con targa straniera e in particolare bulgara a contraddistinguere questa attività. Trascorsi alcuni giorni dallo schianto sulla statale 16, erano state tutte identificate le vittime dell’incidente stradale. Le prime sette vittime erano state identificate dai documenti, per le altre si è risaliti all’identità dalle impronte digitali. I primi identificati lavoravano per l’azienda D i Vito, che è stata sottoposta a controlli, e ora gli inquirenti stanno verificando se anche le altre vittime lavorassero per la stessa impresa. Intanto, all’Ansa, l’autista del Tir carico di farinacei, il 57enne Rocco Abate, aveva raccontato la terribile esperienza, che comunque lo ha visto sì miracolato, ma con alcune lesioni. «Il furgone – racconta – ha invaso la corsia opposta e si è venuto a scontrare con il mio camion. Nonostante da lontano mi fossi accorto che stava superando la linea bianca spartitraffico, è stata una cosa inevitabile. Ho frenato, lampeggiato e fatto tutto quello che potevo. Sono convinto che il conducente del furgone abbia avuto un colpo di sonno. Al 99,99% dormiva. Non può essere stata una distrazione momentanea perché il furgone ha camminato spostandosi verso di me per 15-20 secondi, a velocità credo sostenuta, considerando il terribile impatto che ha distrutto anche il mio tir. Ho perso il controllo del mezzo prima di andare a sbattere contro il muro di cemento al lato della strada. Sopravvissuto al forte impatto, ho avuto paura di morire carbonizzato in caso di incendio del veicolo. La cabina del mio camion era rovesciata. Senza neanche rendermene conto, ho cercato di allargare con i piedi il buco che si era creato sul parabrezza, di circa 30 centimetri, per uscire al più presto dal mezzo sperando che non prendesse fuoco. Un agricoltore mi si è avvicinato fornendomi una piccola zappa per aiutarmi a rompere il vetro. A quel punto le persone che erano lì mi hanno fatto sedere su un muretto per verificare che fossi cosciente. Ho saputo solo dopo che cosa era accaduto».