Concordiamo subito su un fatto: la reputazione si costruisce nel tempo, facendo seguire sempre, nei limiti del possibile, i fatti alle parole. Ad ogni promessa deve seguire l’azione per mantenerla e ciò vale in tutto l’ambito sociale, incluso quello politico. A livello nazionale i politici se ne sono dimenticati, rapiti in un susseguirsi di comportamenti incoerenti e non conseguenti il cui unico tratto comune sembra essere l’interesse per la propria sopravvivenza. Anche il governo tecnico, unico per natura a potersi permettere scelte slegate dalla rielezione, ha dismesso i panni scientifici a favore di una incomprensibile e abusata alternanza fra il bastone (“siamo sull’orlo del baratro”) e la carota (“i conti migliorano, l’Italia ce la farà”). Ciò nonostante fornisce un’immagine migliore dei partiti che fanno da sfondo, che continuano a litigarsi le briciole mentre la dispensa è vuota. In Molise stiamo, contemporaneamente, assistendo ad una fase di cecità individualistica che sembra innestarsi a pieno titolo sulle previsioni democratiche di Tocqueville. Gli uomini diventano sempre più liberi di forgiare autonomamente la propria sorte, ma per Tocqueville c’è un prezzo da pagare per questa libertà: il declino del concetto di onore, una diffusa mediocrità e un eccessivo individualismo. Fotografia quasi perfetta del circo politico Barnum molisano. Abbiamo infatti un campionario di personaggi che, lungi dalla consapevolezza del ridicolo, spingono in avanti il petto pavoneggiandosi nel grottesco. C’è quello che, forte della sua gioventù, come fosse un contenuto e non un accessorio della sua persona, dimentica che la coalizione di cui fa parte è arrivata vicina alla vittoria delle scorse regionali e che i suoi voti, seppure relativamente importanti, non gli consentono prese di distanza al solo fine di mettersi in mostra. C’è l’assessore di lunga esperienza, che colto da cinque minuti di cristallina lucidità, sembra guardare il Molise com’è, nepotistico, arretrato e soffocato. Ma dimentica di aver avuto un ruolo importante e decisivo nel farlo divenire tale. L’istinto alla sopravvivenza di poltrona gli ha cancellato la memoria e candeggiato le responsabilità. C’è chi si prepara all’ennesimo cambio di casacca, dimostrando nei fatti che non è il programma, non sono le idee, non è il progetto, ciò che conta, ma che tutti ricordino la sua faccia, il suo nome e il suo sorriso, scordando cosa fa. E infine c’è chi sembrava morto quando era politicamente vivo e che quando è morto davvero (sempre politicamente, s’intende) non è stato ricordato né rimpianto in nessuna sede, neanche nelle riunioni di condominio. Ora ritorna dall’oltretomba polveroso di una politica antica, fingendosi maître-àpenser ma rappresentando in realtà solo il suo esteso ego, non avendo dell’ideologo la statura né politica né culturale. Un patetico tentativo di ‘‘‘‘usato sicuro’ già fallito e che ha dimostrato, in altri luoghi e altre terre, di non essere più accettabile (si veda la forzata candidatura di Bernazzoli a Parma). Che spettacolo deludente stanno dando i politici molisani. Quei pochi, molto pochi, che meglio interpretano la volontà popolare, faticano a farsi largo tra questi egocentrici da prima fila. Come ci si può stupire, quindi, che nel quadro scadente che queste primedonne danno, mostrando solo il peggio, l’elettore li confonda con il partito a cui si appoggiano (ma che non rappresentano) e così, nel rifiuto loro, rifiutino il partito scegliendo movimenti le cui idee sono semplici, sciocche, inattuabili e persino dannose, ma che sono l’unica alternativa? Se quei pochi validi hanno davvero voglia di cambiare le cose, allora facciano entrare persone nuove, ripulendo il passato che non è più presentabile. Chi vuole partecipare, poi, ci provi. Non per dire di averci provato, ma per manifestare a chi si riempie la bocca di parole come “apertura”, “rinnovamento” e “giovani”, che la reputazione l’ha già persa. Guardando oggi il Molise e parte della sua classe politica dirigente, viene da dire: “Vabbè Continuiamo così. Facciamoci del male”
Biagio Lapenna