Un carabiniere testimone oculare inguaia (anche) Alessio Di Bernardo, coinvolto nel caso Cucchi.
Il militare dell’Arma di Sesto Campano, secondo la ricostruzione di Francesco Tedesco, sarebbe stato uno dei protagonisti del pestaggio del giovane geometra arrestato a Roma per detenzione di stupefacenti. L’altro sarebbe invece Raffaele D’Alessandro. A nove anni dalla morte di Stefano Cucchi è quindi arrivata la svolta, forse decisiva, per ricostruire la verità su quanto accaduto in quei giorni di ottobre.
Ieri in apertura di udienza del processo bis che vede coinvolti il colpo di scena con il pm Giovanni Musarò che annuncia la deposizione di uno dei militari imputati che ha quindi ammesso la violenta aggressione ai danni dell’arrestato che, pare, rifiutasse di collaborare per il fotosegnalamento.
«Fu un’azione combinata – racconta il carabiniere Tedesco -, Cucchi prima iniziò a perdere l’equilibrio per il calcio di D’Alessandro poi ci fu la violenta spinta di Di Bernardo che gli fede perdere l’equilibrio provocandone una violenta caduta sul bacino – hanno riportato i mass media la deposizione del militare -. Anche la successiva botta alla testa fu violenta, ricordo di avere sentito il rumore. Spinsi Di Bernardo ma D’Alessandro colpì con un calcio in faccia Cucchi mentre questi era sdraiato a terra. Gli dissi “basta, che c… fate, non vi permettete”».
Tedesco, che nei mesi scorsi aveva denunciato il tutto (ma solo ieri le sue dichiarazioni sono state rese note in udienza), è imputato insieme a Di Bernardo e D’Alessandro di omicidio preterintenzionale. Nel verbale di luglio scorso è anche riportato come il carabiniere abbia riferito che mentre uno «colpiva Cucchi con uno schiaffo violento in volto» l’altro «gli dava un forte calcio con la punta del piede».
Insomma, un altro uomo dell’Arma (dopo Casamassima) che inizia a mettere nero su bianco la propria versione dopo l’iniziale mistero che aveva avvolto la morte di Stefano Cucchi, avvenuta all’ospedale Pertini dopo una settimana dall’arresto e dal pestaggio in caserma.
«Tedesco ha denunciato la condotta al suo superiore ed anche alla Procura della Repubblica, scrivendo una annotazione di servizio che però non è mai giunta in Procura, e poi è stato costretto al silenzio contro la sua volontà – ha dichiarato il legale del carabiniere, Pini -. Le sue parole sono un riscatto per l’Arma perché è stato un carabiniere a soccorrere Cucchi, a denunciare il fatto nell’immediatezza e a aver fatto definitivamente luce nel processo».
La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria, che dal primo giorno non ha mai smesso di lottare per la verità, ieri su Facebook ha scritto: «Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi». Quindi, «ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni. Ci chieda scusa chi in tutti questi anni ha affermato che Stefano è morto di suo, che era caduto. Ci chieda scusa chi ci ha denunciato. Sto leggendo con le lacrime agli occhi quello che hanno fatto a mio fratello. Non so dire altro. Chi ha fatto carriera politica offendendoci si deve vergognare. Lo Stato deve chiederci scusa. Deve chiedere scusa alla famiglia Cucchi».
Con Tedesco, Di Bernardo e D’Alessandro, imputati di omicidio preterintenzionale e abuso di autorità, a processo ci sono anche Roberto Mandolini per calunnia e falso, e Vincenzo Nicolardi per calunnia.
Anche Di Bernardo, successivamente ai fatti assegnato alla caserma di Cassino, è sospeso dal servizio.
Non mi sembra un bel titolo, questo dell’articolo, dal punto di vista educativo. Certamente in questo tipo di lavoro sono cose che possono succedere, si tratta con gente tutt’altro che ragionevole, vuoi perchè delinquenti o drogati, ed occorre usare le maniere forti, anche se fino a un certo punto. Una volta accaduto il fatto, si può essere giustificati solo per aver agito in funzione del proprio ruolo.