La prevenzione del cancro al seno, la diagnosi, l’incidenza, la familiarità. E poi le nuove tecniche chirurgiche, gli screening e la psico-oncologia. L’incontro “Vinciamo noi” – promosso a Venafro dalla Farmacia del Corso – ha costituito l’occasione per un confronto tra medici, psicologi e cittadini, che hanno risposto in massa, affollando la saletta del Caffè del Corso. La location scelta non è casuale, perché quello che gli organizzatori hanno voluto inaugurare è una sorta di “Caffè con l’esperto”, il primo di una lunga serie di eventi uniti da un obiettivo: sensibilizzare la popolazione sulle tematiche sanitarie.
A questo primo appuntamento, promosso nell’ambito del mese di campagna “Nastro Rosa” dell’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc), hanno partecipato la dottoressa Francesca Scarabeo, senologa, il dottor Pasquale Assalone, oncologo, e la dottoressa Silvia Della Corte, psicologa.
«“Vinciamo noi” perché il tumore al seno è una patologia che può essere sconfitta, ma serve essere informati e bisogna effettuare i controlli». Concetti ribaditi dalla dottoressa Scarabeo, nel corso del suo intervento: «Oggi l’età di incidenza del carcinoma al seno – ha spiegato – si è abbassata rispetto al passato e la patologia arriva a colpire anche donne che sono in età fertile e che quindi devono ancora preservare la possibilità di concepimento. Bisogna tutelarsi, sia attraverso la prevenzione, sia mediante nuove tecniche, grazie alle quali si preleva l’ovocita, si congela e si utilizza in una fase post terapia. Fino a 30 anni fa questo problema non se lo poneva nessuno – ha aggiunto Scarabeo -, adesso è diventata un’esigenza».
Un altro aspetto centrale riguarda le terapie chirurgiche. «In passato – ha sottolineato la senologa – i trattamenti erano molto invasivi e vedevamo donne con evidenti postumi chirurgici. Oggi non è più così, perché si utilizza la tecnica del linfonodo sentinella. Le pazienti se la cavano con la rimozione di questo linfonodo». Naturalmente un ruolo fondamentale lo giocano gli screening. Il problema è che «ci ammaliamo tutti di più, di tutte le patologie oncologiche. Serve quindi prevenzione».
Il tema degli screening è stato anche al centro dell’intervento del dottor Assalone, oncologo: «Abbiamo circa 50mila casi ogni anno di tumore al seno, in aumento dello 0,9% ogni anno, ma con la mortalità che cala del 2%. Questo perché sono aumentate le diagnosi multidisciplinari e il percorso terapeutico che viene impostato incrementa la possibilità di sopravvivenza del paziente». Assalone ha attirato l’attenzione sulla necessità di corretti stili di vita e sulle nuove scoperte, come il test genetico sulla familiarità, grazie al quale si può conoscere che tipo di probabilità “genetica” una persona ha di ammalarsi. Perché fare questo test? «Perché è utile per avere un controllo e una maggiore possibilità di prevenzione. Naturalmente bisogna essere cauti – ha spiegato Assalone – perché altrimenti un paziente a cui viene notificata una anche minima predisposizione genetica potrebbe risentirne a livello psicologico. I risultati di un test genetico – ha specificato il medico – non diagnosticano la malattia, ma solo una predisposizione. In queste fasi quindi si deve passare attraverso vari step e diventa necessaria la collaborazione di figure sul piano del ‘counseling’». Come gli psicologi.
A proposito, Silvia Della Corte, psicologa, ha posto l’accento su due termini: “resilienza” ed “empowerment”. «Si tratta della capacità – ha spiegato – di superare un evento traumatico e reagire, facendo leva su concetti come autostima, autoefficacia, autorealizzazione. Tutte cose che ognuno, anche se non lo sa, conserva dentro di sé e deve essere in grado di utilizzare quando arriva la ‘botta’ di una brutta notizia. Il tumore – ha sottolineato Della Corte – non colpisce gli organi, ma la vita intera del paziente e quella dei suoi familiari. Il cancro viene visto come un’aggressione, inaspettata, quindi bisogna elaborarlo, passare attraverso diverse fasi, come il dolore e la rabbia, per poi arrivare all’accettazione della diagnosi e al momento della reazione. I malati di cancro devono essere aiutati a ragionare sul vivere qui e ora, senza pensare al futuro o al passato, la vita è qui, la vita c’è. Noi garantiamo ai pazienti uno spazio protetto in cui aprirsi completamente, cosa che per esempio in famiglia non possono fare».

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