Gli ultimi dati raccontano che più di 909mila italiani colpiti dal cancro oggi possono considerarsi guariti, hanno cioè la stessa speranza di vita delle persone che non hanno ricevuto la diagnosi. In nove anni questa percentuale è aumentata del 29%: nel 2010 erano 704.648. Eppure la percezione non coincide con la statistica: il cancro arriva spesso senza preavviso e la diagnosi suona sempre come una condanna a morte. Ma perché nonostante i passi in avanti raggiunti dalla ricerca e dall’innovazione si fa fatica a rimanere a galla dopo aver scoperto di avere un tumore?
La domanda l’abbiamo rivolta al dottor Carmelo Pozzo, direttore Uoc di Oncologia Generale alla Fondazione di Ricerca e cura Giovanni Paolo II di Campobasso.
«Lo scenario che lei descrive corrisponde in effetti alla realtà che come operatori sanitari siamo abituati a vivere quotidianamente. I progressi nel campo della diagnosi e della terapia dei tumori sono stati enormi negli ultimi anni e la percentuale di pazienti guariti definitivamente è infatti nettamente aumentata. Tuttavia una guarigione definitiva è possibile solo se la diagnosi avviene precocemente, consentendo un’integrazione terapeutica tra le branche mediche coinvolte nella cura dei tumori (Chirurgia, Oncologia Medica, Radioterapia etc.).
Oltre alle campagne di prevenzione atte a modificare stili di vita errati, è necessario mettere in atto adeguati screening individuali e della popolazione in generale. Per alcune neoplasie e specifiche fasce di età questo già si fa attraverso specifici programmi che sono stati implementati in ogni Asl, inclusa quella molisana.
È inoltre cruciale, anche se spesso difficile, una corretta interpretazione dei sintomi iniziali della malattia. Molto spesso un tumore si manifesta con sintomi aspecifici che non necessariamente sono dovuti alla presenza di un tumore. Ciò è spesso la causa principale di una diagnosi tardiva che può portare, come indicato nella sua domanda, a situazioni in cui il cancro arriva “senza preavviso” e con una diagnosi che suona come una “condanna a morte”. Sotto questo aspetto è importante il ruolo del medico di famiglia e di ogni presidio sanitario del territorio che rappresentano il primo contatto con il paziente e che devono effettuare una attenta sorveglianza e intervenire rapidamente in caso di un sospetto diagnostico o semplicemente ricordando l’importanza di un adeguato screening oncologico in relazione alle varie fasce di età».
Male “incurabile”, una parola cancellata nel vocabolario degli addetti ai lavori. Ma quali sono ancora oggi i tumori più difficili da trattare che effettivamente risultano incurabili?
«Non è corretto parlare di male “incurabile” poiché, pur se una guarigione definitiva molto spesso non è possibile, esistono possibilità di cura per ogni neoplasia, consentendo di migliorare la sintomatologia, la tollerabilità ai trattamenti, la qualità di vita e possibilmente anche la sopravvivenza per ogni paziente affetto da tumore. Purtroppo poche neoplasie sono suscettibili di guarigione in assenza di una diagnosi precoce.
I progressi ottenuti nel campo delle terapie mediche e con l’integrazione dei vari approcci terapeutici consentono oggi di guarire definitivamente molte neoplasie ematologiche, alcuni tumori in età pediatrica, neoplasie dell’ovaio e del testicolo, ma anche tumori considerati abitualmente a prognosi infausta come mammella, polmone e colon-retto sono a volte suscettibili di guarigione definitiva.
Per altre neoplasie invece i progressi sono stati più lenti e la causa principale di ciò risiede non solo nella particolare aggressività di alcune di esse, ma soprattutto nella scarsa conoscenza delle caratteristiche biologiche e molecolari. Una migliore conoscenza della biologia ha consentito per alcuni tumori di individuare terapie più efficaci e personalizzate, che non sono necessariamente assimilabili alle chemioterapie convenzionali.
Per quei pazienti per i quali non si riesce ad ottenere una guarigione definitiva, lo sforzo della ricerca negli ultimi anni è stato quello di cercare di “cronicizzare”, attraverso nuovi farmaci e nuovi approcci terapeutici, la malattia oncologica, permettendo un controllo a lungo termine delle neoplasie e dei sintomi ad esse correlate».
Non sempre giocare in anticipo aiuta perché il cancro non guarda in faccia nessuno. Dottor Pozzo, secondo lei sullo sviluppo dei tumori pesa più l’inquinamento, lo stile di vita o la ‘familiarità’? Cosa possiamo fare davvero per ridurre il rischio di ammalarci?
«Come è stato già accennato, le stile di vita e le abitudini comportamentali rivestono un ruolo fondamentale. Il tumore è una patologia multifattoriale è difficilmente è possibile individuare un unico fattore di rischio. I fattori di rischio più conosciuti sono l’abitudine al fumo, una dieta sbilanciata e con eccesso di grassi, obesità e scarso esercizio fisico. Si tratta di condizioni che costituiscono importanti fattori di rischio anche per altre patologie, come la sindrome metabolica o la aterosclerosi cardiovascolare. Spesso coesistono nello stesso individuo più fattori di rischio e più patologie cronico-degenerative, tra cui gli stessi tumori.
I tumori ereditari rappresentano una percentuali piuttosto esigua. Per alcune neoplasie si può parlare invece di “familiarità” e cioè sia per una maggiore suscettibilità genetica nell’ambito della stessa famiglia sia perché la stessa famiglia può essere esposta agli stessi cancerogeni presenti nell’ambiente o avere paradossalmente simili abitudini di vita, cioè una dieta simile e simili abitudini comportamentali.
Su ognuno di questi aspetti è possibile intervenire con un’adeguata azione di prevenzione primaria o secondaria, cioè agire con specifici programmi di screening o con campagne atte a modificare errate abitudini alimentari o ad esempio l’abitudine al fumo.
Infine, per quanto riguarda l’inquinamento ambientale e l’esposizione professionale, esistono un certo numero di sostanze chimiche per le quali è riconosciuto il loro potere cancerogeno e sono definiti per legge i valori soglia oltre i quale il rischio è significativamente aumentato. Purtroppo non sempre queste norme sono rispettate e non sempre è garantita un’adeguata protezione certa dai cancerogeni ambientali. L’esposizione prolungata per motivi lavorativi o la residenza in speciali zone in cui il rischio di esposizione è più elevato (ad esempio al radon o altre simili cancerogeni chimici o fisici), rende vane talora queste misure protezionistiche».
Radioterapia e chemioterapia i trattamenti tradizionali, ma da un po’ si parla sempre più spesso di immunoterapia. Di che cosa si tratta, quando e su chi viene praticata.
«L’immunoterapia è solo una delle nuove possibili terapie per i tumori. Si parla oggi infatti di terapie a bersaglio molecolare e, quando possibile, di terapia personalizzata. La migliore conoscenza delle caratteristiche biologiche e molecolari della neoplasia ha in alcuni casi consentito di individuare un specifico recettore o una specifica caratteristica della cellula neoplastica che può eventualmente essere utilizzata come il “bersaglio” di un particolare farmaco. Al contrario della chemioterapia e della radioterapia, queste nuove terapie, oltre ad avere una maggiore efficacia, non esercitano la loro azione sulle cellule sane, riducendo pertanto in maniera significativa gli effetti collaterali del trattamento.
L’immunoterapia è oggi già in uso per alcune neoplasie tra cui il melanoma, il tumore del rene e del polmone e altri tumori si stanno via via aggiungendo a questa lista. Si tratta di un particolare gruppo di farmaci biologici capaci di sbloccare il meccanismo di controllo immunologico dei tumori che per una serie di motivi è poco funzionante nella malattia avanzata e perciò non efficace a tenere sotto controllo la crescita del tumore. Ripristinare o comunque attivare le normali difese immunitarie dell’organismo indirizzandole verso il controllo del crescita neoplastica ha consentito per alcuni tumori di controllare la malattia per un tempo molto lungo, pur non rimanendo possibile una guarigione definitiva. Non tutte le neoplasie sono purtroppo suscettibili di trattamento con immunoterapia, ma solo alcuni particolari istotipi o quelle che presentano comunque specifiche caratteristiche biologiche, come ad esempio un alto numero di mutazioni geniche».
I fattori esterni posso influire sulla guarigione di un malato oncologico? Il buonumore, continuare a lavorare, avere una vita sociale può aiutare a guarire? Al contrario, i grandi dispiaceri possono influire negativamente?
«Vi sono molti fattori, per così dire non strettamente somatici, che spesso non sono adeguatamente tenuti in considerazione e che contribuiscono a un migliore esito delle cure oncologiche. Tra questi sicuramente gli aspetti psicologici e la possibilità per il paziente affetto da tumore continui a vivere una vita sociale e lavorativa pressoché normale sono determinanti nel garantire una buona qualità di vita e ridurre gli effetti collaterali del trattamento. Ciò è vero sia nel caso in cui il paziente riesca poi a guarire definitivamente sia quando purtroppo è affetto da un malattia avanzata. In questo caso, come è stato già detto, lo scopo delle cure è quello di allungare il più possibile la sopravvivenza e controllare l’insorgenza di sintomi legati al progredire della malattia. È importante che in uno stadio terminale della malattia il paziente non venga isolato, si senta circondato dall’affetto dei suoi cari e riesca nei limiti del possibile a sentirsi ancora parte integrante della società, se pur con dei limiti a causa delle sue sofferenze. In questi casi in gergo medico si dice per il paziente è indicata “la migliore terapia di supporto” e questa deve prevedere anche la presa in carico non solo degli aspetti legati alla sofferenza fisica ma anche il necessario supporto socio-familiare. Anche nella Regione Molise sono stati attivati programmi di assistenza domiciliare e hospice oncologico che funzionano in modo eccellente, anche se andrebbero ovviamente potenziati come per tutte le altre strutture della regione dedicate alla diagnosi e cura del paziente oncologico».
Il registro dei tumori non è ancora operativo in Molise. Un grave ritardo secondo lei?
«Il Registro dei tumori è uno strumento fondamentale per comprendere l’incidenza e la prevalenza delle varie neoplasie nella regione e per poter programmare specifici interventi di politica sanitaria nel territorio. Anche la Regione Molise si sta lentamente dotando di questo importantissimo strumento. L’Associazione Italiana di Oncologia Medica, con il Libro Bianco dei Tumori in Italia, così altre società scientifiche o gruppi cooperativi, hanno pazientemente raccolto e presentato dati aggiornati sulla distribuzione delle varie neoplasie in Italia, differenziandole anche per regione. La conoscenza di tali dati è cruciale non solo per lo specialista oncologo ma anche per i manager pubblici e per i politici coinvolti nella programmazione sanitaria in campo oncologico».
Alessandra Longano