Lombardia e Veneto «stanno minando l’unità nazionale», dice senza mezzi termini Micaela Fanelli. Ha organizzato la tavola rotonda insieme al collega del Pd Facciolla: da Manzo a Pallante, Matteo, Cefaratti, i politici hanno risposto compatti. In platea anche i rappresentanti di sindacati e associazioni, sindaci, l’ex presidente della Regione Di Giandomenico. L’argomento è dirimente, oggi attualissimo perché il 15 febbraio sarà siglata l’intesa fra le due Regioni a guida leghista nonché l’Emilia Romagna a trazione dem con Palazzo Chigi. Poi l’accordo dovrà diventare legge. Improvvisa per i lettori meno attenti dei flussi politici, la svolta federalista ha avuto un’accelerazione decisa oggi che governa il Carroccio di Salvini.
Tra i relatori, il direttore di Svimez Luca Bianchi. Netto anche lui, l’associazione lancia un vero e proprio allarme: «Per come si sta impostando la discussione sul federalismo, rischia di essere contro il Mezzogiorno. Il tentativo delle Regioni del nord di trattenere risorse può comportare una riduzione ulteriore dei trasferimenti per quelle del Mezzogiorno e soprattutto un peggioramento dei servizi sociali dei cittadini del sud. La nostra Repubblica deve garantire uguali diritti di cittadinanza su tutto il territorio». Più soldi nelle casse delle Regioni che rafforzano la propria autonomia – per assicurare i servizi ulteriori che gestiranno in maniera diretta, come la scuola e le politiche del lavoro, oltre alla sanità – vuol dire meno risorse che da Roma possono arrivare alle realtà svantaggiate, appunto quelle meridionali fra cui il Molise. In sanità, per esempio, cosa può cambiare in peggio? «Noi chiediamo che già adesso venga riequilibrata la spesa sanitaria. I dati sull’emigrazione sanitaria dimostrano che i livelli di standard dei servizi al sud sono inferiori – spiega Bianchi – Abbiamo bisogno di maggiori risorse al sud, più ospedali, più servizi sociali per le fasce deboli della popolazione. Questo bisogna ottenerlo attraverso, innanzitutto, una maggiore responsabilizzazione delle Regioni del sud e anche una migliore capacità di spesa, ma pure attraverso la garanzia dei diritti uguali per tutti».
Nell’allarme che in generale riguarda il Meridione, il Molise è già messo maluccio. Gli indicatori elaborati da Svimez lo indicano da tempo: è soprattutto il fattore demografico a condizionarne la chance di futuro. «Il pericolo più grande è la riduzione della popolazione. Il Molise è una delle regioni col più alto tasso di invecchiamento. Molti giovani vanno via, è l’esperienza di moltissime famiglie di questo territorio: i ragazzi studiano e poi vanno via. La risposta – per il direttore della Svimez – non può che essere in una crescita degli investimenti e dello sviluppo. Esiste un tessuto di imprese anche nel Mezzogiorno che ha reagito alla crisi, i dati 2016 e 2017 erano abbastanza buoni, anche quelli di inizio 2018, ora si sta avviando una nuova fase recessiva che può essere molto pericolosa. Quindi noi chiediamo garanzia dei diritti di cittadinanza da un lato e dall’altro maggiori investimenti. La vera svolta è questa: incrementare sia gli investimenti pubblici, con una maggiore efficienza nella spesa dei fondi europei, sia quelli privati con politiche che supportino il sistema delle imprese».
In apertura dei lavori, l’intervento del governatore Donato Toma. Il suo non è un no secco all’autonomia differenziata, piuttosto «un sì subordinato alla circostanza che si deve risolvere prima la questione meridionale. Parlo del divario fra nord e sud. Perché in queste condizioni una maggiore autonomia delle Regioni più ricche potrebbe danneggiare quelle meno ricche». Una strada alternativa è la rete che si è creata in Conferenza delle Regioni fra le amministrazioni del sud.
Dalla sala parlamentino di via XXIV Maggio, l’intenzione di fare ‘lobby’ nei confronti del governo e del Parlamento per correggere la rotta, magari verso un «regionalismo cooperativo per una rinnovata autonomia», così lo ha definito Patrizia Manzo. Perché su un punto sono tutti d’accordo: questo federalismo è un grosso rischio per il Molise.
«Se oggi la sanità riesce a trovare un riequilibrio seppure difficoltoso sul territorio o la scuola è diretta in modo unitario a livello nazionale, domani potrebbe non essere più così. Visto dal Molise, che dai trasferimenti del fondo di perequazione nazionale trae le risorse principali per i propri diritti fondamentali, diventa un rischio grande», chiosa Fanelli.
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