La vicenda del collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura passa dalle aule penali a quelle della giustizia amministrativa. Il 40enne ex capo della cosca della ‘‘Ndrangheta crotonese Vrenna-Corigliano-Bonaventura ha impugnato tramite i suoi legali Giulio Calabretta e Francesco Marasco il provvedimento con cui il sottosegretario De Stefano disponeva senza indicare la località il trasferimento immediato del pentito calabrese per aver violato gli obblighi di riservatezza e segretezza imposti dal programma di protezione del Viminale. Alla base del ricorso le presunte inadempienze dello stato, che invece di proteggerlo lo hanno di fatto inserito in un contesto inquinato dalla presenza di altri affiliati alla ‘‘ndrangheta, o finti pentiti o persone ancora nel giro. Gli avvocati del collaboratore di giustizia non ritengono valido l’ammonimento che si trova nel documento spedito al loro assistito l’11 luglio scorso, nella quale la commissione centrale individua nei comportamenti di Bonaventura elementi utili alla risoluzione del contratto stipulato con lo stato. Parimenti, nessuna modifica al programma di protezione potrebbe avvenire senza una liquidazione a titolo di indennizzo per il pentito e la sua famiglia, soldi che sarebbero usati per trasferirsi all’estero, la meta più agognata di chi si sente ogni giorno in pericolo. Altro elemento chiave la contestazione del requisito di mimetizzazione, poiché la copertura sotto falso nome che avrebbe potuto permettere un diverso inserimento anche socio-lavorativo si è arenata per la mancanza dei documenti. Una deriva giudiziaria che non può che incrinare ulterioremente i già deteriori rapporti tra l’amministrazione dei Nop e lo stesso pentito, deciso ormai a giocare tutte le sue carte per far luce su quei rapporti quotidiani tra stato e mafia che si registrerebbero anche in periferia.

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