Il 6 dicembre del 1907 avvenne il disastro minerario più grave della storia statunitense. Nella miniera di carbone di proprietà della Fairmont Coal Company si verificò una tremenda esplosione che fece vibrare la terra fino a 30 chilometri dal luogo della tragedia. L’incidente coinvolse le gallerie 6 e 8. I testimoni narrarono di fiamme di fuoco dalla bocca della miniera alte fino a 30 metri. Ad accorrere per primi sul luogo furono i parenti dei minatori che abitavano nelle tipiche casette in legno. Lo scenario che si presentò ai loro occhi fu apocalittico. Nel volgere di poche ore giunsero a Monongah centinaia di soccorritori, medici, infermieri, giornalisti ed altri minatori che sospesero la loro opera per solidarietà nei confronti delle vittime. Tre volontari morirono durante i soccorsi, intossicati dalla nube che si levò all’imbocco della miniera. Molte ore dopo l’incidente iniziarono ad emergere i primi corpi dei minatori orribilmente mutilati, in molti caso completamente carbonizzati. Negli anni della tragedia la legislazione sulla sicurezza nelle miniere negli States era pressoché carente. Per intercettare una eventuale fuga di gas i minatori scendevano nelle gallerie con degli uccelli in gabbia: se gli animali morivano era imminente anche il pericolo per l’uomo. La commissione d’inchiesta istituita su Monongah rese pubbliche le conclusioni a gennaio del 1908 senza individuare alcun colpevole: l’esplosione distrusse le due gallerie, ma ignote restavano le cause dello scoppio. Le cronache dell’epoca riferiscono, in realtà, che l’esplosione fu causata dalla presenza nei tunnel di gas grisù (aria mista a metano) che si incendiò quando un carrello utilizzato per il trasporto del carbone deragliò causando numerose scintille. Nei due giorni antecedenti l’incidente, la Fairmont Coal Company con la miniera chiusa spense gli aeratori per risparmiare ed il grisù ristagnò nelle gallerie per 48 ore. L’assenza di sopravvissuti, tuttavia, rende impossibile una ricostruzione plausibile del tragico evento. La compagnia mineraria mise a disposizione delle famiglie delle vittime un intero terreno vicino alla miniera dove nacque un cimitero ex novo. Centotrentacinque vittime, non identificate, furono invece sepolte in una fossa comune. Un servizio di vigilanza impedì atti di sciacallaggio sui cadaveri poiché molti minatori avevano cuciti addosso i risparmi di una vita. In assenza di un colpevole alle famiglie non andò neppure un dollaro della compagnia. Furono una commissione sorta ad hoc e le iniziative dei quotidiani nazionali a risarcire simbolicamente vedove ed orfani. Terrificanti i dati della sciagura: furono identificati i corpi di 171 vittime italiane. Quasi cento provenivano dal Molise. Duronia fu il paese a pagare il tributo di sangue più alto con 36 morti. E proprio Duronia ieri mattina ha ricordato i suoi figli con una cerimonia commovente e sobria attraverso la deposizione al cimitero di una corona e poi con una funzione religiosa all’interno della chiesa. Monongah, per proporzioni, fu anche più grave di Marcinelle dove le vittime provenienti dalla Penisola furono 136. Nessuno storico è riuscito, invece, a ricostruire il numero esatto di vittime nell’esplosione della West Virginia. Le cifre ufficiose divulgate dalla compagnia parlarono di 305 morti. I media dell’epoca portarono il bilancio a 305. Verosimilmente le vittime sfiorarono le mille unità perché, oltre ai 500 minatori presenti nella miniera, vi erano altri lavoratori (conducenti di muli, addetti alle lampade, manutentori degli impianti) che non furono iscritti nei registri della compagnia. E non furono contati nemmeno i numerosi minorenni (ragazzini di 10 – 11 anni) che prestavano la loro opera in nero. A Monongah sorge un monumento naturale, la cosiddetta collina di carbone, realizzata da una vedova fuori di senno per la scomparsa del marito che, dopo la tragedia, per moltissimi anni ha percorso i tre chilometri che dividevano la sua abitazione dalla miniera per raccogliere un sacco di carbone e svuotarlo vicino casa. In tal modo voleva alleviare il peso della terra che ancora gravava sul marito, morto nell’esplosione e mai identificato tra le vittime.

Nella foto, le bare dei minatori allineate davanti la chiesa cattolica di Monongah

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