Il Generale Luigi Cadorna nel comunicato del 28 ottobre così scrive: “La mancata resistenza di reparti della Seconda armata, vilmente ritiratisi senza combattere o ignominiosamente arresisi al nemico, ha permesso alle forze austro-germaniche di rompere la nostra ala sinistra…”, diffondendo, così, il terribile sentimento di sconfitta ed insinuando “lo sciopero” della gran massa dei nostri fanti. Ma la realtà fu ben altra. Gli austriaci erano ormai più stremati dei nostri soldati e per questo, nell’autunno del 1917, i generali di Vienna decisero il tutto per tutto, utilizzando però le truppe più fresche e veloci prestate dalla Germania: tra queste il 35° Pionier-Regiment che addirittura si addestrava alla guerra chimica fin dal 1915. Infatti, proprio a partire dalle ore due del 24 ottobre, fece un disinvolto uso di ben 912 tubi lancia gas e 70mila granate cariche a fosgene e cloro. Se aggiungiamo poi che quella notte il tempo è orribile, piove e tutto è sommerso nella nebbia, si comprende la reale situazione delle truppe in campo. Il nemico, intanto, si muove con 350mila uomini e ben 2500 cannoni schierati soltanto lungo 18 chilometri. I nostri soldati furono svegliati alle due di notte da un sordo, improvviso ed intenso bombardamento nella conca di Plezzo, preceduto dai micidiali gas, con attacchi rapidi e condotti da piccoli nuclei agguerriti che con grande facilità sfondano e passano oltre.
C’è chi scappa e chi resiste ma chi resiste si trova rapidamente senza i mezzi per farlo. Tutto ciò ci fa comprendere i numeri approssimativi della disfatta: 11mila morti, 30mila feriti, 300mila prigionieri, 350mila soldati in fuga, un arretramento del fronte di 150 chilometri con la perdita di più di 20mila chilometri quadrati del territorio nazionale. Tutto nei pochi giorni che vanno dal 24 ottobre al 9 novembre 1917, finalmente, il nemico viene fermato e il fronte si stabilizzò sul Piave. Mancando il colpo decisivo l’Austria si condannò alla sconfitta, Vittorio Veneto era già nella rivincita. Ancora oggi ci si chiede di chi fu la colpa. Certamente il generale Pietro Badoglio fu il primo imputato per la disfatta, anche perché era il comandate del 28esimo corpo d’armata posizionato a sud di Caporetto con ben 800 cannoni schierati, uno ogni trenta metri, proprio dove i tedeschi dilagarono. Quando verso le sei e trenta iniziò un bombardamento che face a pezzi trincee e ricoveri italiani, con la distruzione delle linee telefoniche, il responsabile dei cannoni restò in attesa di ordini che potevano venire solo dal generale in capo: Badoglio. Ma lui non è presente per dare ordini, è chiuso nel suo quartier generale in località Cosi, a soli tre chilometri dalla linea del fuoco. Quando si rese conto di ciò che stava accadendo era troppo tardi, ormai le comunicazioni erano interrotte. Fu cosi che alle quattro del pomeriggio del 24 ottobre 1917 Caporetto (che oggi si chiama Kobarid e si trova in Slovenia) tornò nelle mani dell’impero austroungarico. Badoglio non diede l’ordine di sparare, anzi, non fu possibile rintracciarlo per avere ordini. Stranamente, però, fu l’unico a scamparne le conseguenze, a differenza dei generali Cadorna, Capello e altri, tutti rimossi dai loro incarichi ed umiliati davanti ai tribunali militari. Certamente con Caporetto si insinuò nel cuore degli italiani un dubbio, una grande ferita, sanata poi dalla Vittoria quando tutta l’Italia, con la classe politica e la borghesia, si raccolse per scongiurare la catastrofe, capovolgere l’esito del conflitto e concludere finalmente il Risorgimento. Una ferita, purtroppo, riapertasi, molto grave e mia più risanata, l’8 settembre del 1943, quando si dissolse completamente il tessuto morale della Nazione.
Mons. Gabriele Teti
– Associazione Nazionale
Alpini-Molise –

Un Commento

  1. Fabrizio Petrassi scrive:

    Per chi fosse interessato, stiamo pubblicando on line, giorno per giorno, i diari di guerra di mio nonno, un bersagliere che ha partecipato alla ritirata di Caporetto.
    http://www.idiaridiguerra.com

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