La ricorrenza del 4 novembre, Giorno dell’Unità nazionale e Giornata delle Forze Armate , ci riporta alla memoria la tragedia della Prima guerra mondiale, dolorosa pagina di storia intrisa di violenza e disumanità, che ha causato la morte di milioni di persone, lasciando i vincitori divisi e le nazioni da ricostruire. Nessuno purtroppo riuscì a fermare quell’immane catastrofe, perché prevalse inesorabile la logica dell’egoismo e della violenza. Alla memoria di tanti militari e degli italiani della Grande Guerra, che contribuirono in maniera determinante al definitivo processo di unità nazionale, stamattina a Roma, il Presidente della Repubblica, accompagnato dalle massime cariche dello Stato e dai Comandanti delle Forze Armate, renderà omaggio alla tomba del Milite Ignoto, deponendo una corona d’alloro all’Altare della Patria.
È doveroso quindi ricordare le modalità che portarono all’individuazione della madre che doveva scegliere, tra le 11 bare allineate nella basilica di Aquileia, quella del militare destinata all’Altare della Patria, ad imperituro ricordo di tutti i caduti in guerra. Inizialmente, per la selezione della madre che doveva poi scegliere la bara da portare a Roma, si pensò ad una signora veneta, tale Anna Visentini Ferruglio, che aveva perduto in guerra due figli, tra i quali Manlio, il più piccolo, decorato anche di medaglia d’oro. Il Comando del Corpo d’Armata di Trieste, invece, decise subito dopo che era più opportuno indicare la madre di un irredentista e, per questo, la scelta cadde su Maria Bérgamas, nata a Gradisca d’Isonzo il 27 gennaio del 1867. Infatti Maria era la mamma di Antonio, chiamato da tutti fin da piccino Toti, della classe di leva 1891, che con coraggio aveva disertato l’esercito austro-ungarico e con il falso cognome Bontempelli si era arruolato nell’Esercito Italiano, rivestendo il grado di sottotenente. Sappiamo dal bollettino di guerra che il giovane Toti morì sul monte Cimone, nelle Prealpi venete, nel giugno del 1916 e che a causa di un pesante bombardamento della artiglieria austriaca il piccolo cimitero di guerra, ove riposava, venne completamente distrutto, rendendo introvabili i suoi resti. Diventando, come per tanti suoi coetanei, soltanto un nome. Fu così che la mattina del 28 ottobre del 1921 Maria, la madre di Antonio, al termine della Messa fu condotta davanti all’altare dell’antichissima basilica di Aquileia: trovò 11 casse identiche, tutte coperte dal tricolore, che custodivano i corpi di soldati senza nome e che erano stati raccolti nei teatri di guerra. Lei si inginocchiò. Lasciata sola dalle quattro medaglie d’oro che l’avevano accompagnata verso i feretri, parve per un momento smarrita nel dover designare la bara, come se dovesse contenere le spoglie del caro figlio. Trascinandosi a fatica e trattenendo il respiro, nello scrutare le bare, giunse di fronte alla penultima davanti alla quale, lanciando un grido acuto che riecheggiò nel tempio, chiamò a gran voce suo figlio Antonio e si prostrò in ginocchio, abbracciando con passione il feretro che aveva scelto. A chi in seguito le chiese il perché di quella scelta lei dichiarò che solo quando si era avvicinata a quella cassa aveva avvertito un intenso fremito e aveva capito che lì dentro c’era il suo amato figlio.
Noi tutti conosciamo la possente e partecipata liturgia, religiosa e civile, che accompagnò il trasporto per tutta l’Italia del Milite Ignoto fino a Roma al Vittoriano. Arriviamo così al 1953 quando Maria, “la madre” del nostro Milite Ignoto, si ricongiunse definitivamente con il suo Toti. Infine, le cronache locali ci narrano che nel 1954 , proprio dietro la basilica di Aquileia, lei fu sepolta volutamente accanto ai 10 soldati sconosciuti che aveva passati in rassegna il 28 ottobre del 1921 e tra i quali aveva indicato Il Milite Ignoto. Sulla sua tomba leggiamo: “Maria Bergamas per tutte le madri. IV Novembre MCMLIV” .
Il dovere della memoria, poi, oggi, nel centenario della Vittoria, va anche ai cappellani militari : aboliti nel 1871 furono riammessi tra le Forze Armate dal generale Luigi Cadorna a risveglio del senso religioso di dovere e di disciplina nei soldati, a conforto dei combattenti, dei feriti e delle loro famiglie. Il Papa Benedetto XV volle il Vescovo da Campo perché i Cappellani militari ed i 1.500 Sacerdoti militarizzati per la guerra avessero un centro di giurisdizione ecclesiastica e di direzione morale. All’inizio della guerra erano 700; ma il loro numero andò crescendo fino a raggiungere nel 1917 i 2.100, non solo perché erano aumentate di numero le unità militari, ma ancora di più perché se ne sentiva il bisogno. Eppure erano Cappellani militari improvvisati. Sacerdoti messi in mezzo ai soldati senza specifica preparazione alla durissima vita militare di guerra, presi da canoniche, da Seminari, da case religiose,da conventi anche di vita austera. Ma Sacerdoti che sentivano l’amore generoso della Patria, l’amore delle anime, la carità verso i sofferenti, i caduti e le loro famiglie. Amore che era luce, guida, conforto e stimolo all’improvvisata preparazione al nuovo e arduo compito di “parroco in trincea”. Era l’amore cristiano sacerdotale che li spronava a percorrere i pericolosi campi di battaglia, battuti dal nemico, che li teneva nei luoghi di meditazione, esposti al tiro, che li faceva balzare oltre le linee a soccorso dei feriti e al trasporto di salme abbandonate. Era l’amore che legava la loro esistenza e missione alla sorte dei marinai o degli alpini, nelle Sezioni di Sanità ed ambulanze, negli ospedaletti da campo e negli ospedali territoriali, treni ospedali. Era l’amore che li faceva pii, generosi e forti nel dare sepoltura ai loro soldati caduti per la Patria, lontani dai loro cari, e nell’ordinare con premurosa cura le tombe nei cimiteri e i nomi nei registri. Era l’amore che li faceva confortevole tramite di collegamento tra i soldati vivi e morti e le loro famiglie, attraverso l’Ufficio Notizie. La loro missione era alta e sublime e adempiendola fedelmente e generosamente tenevano alto il morale delle truppe e della Nazione. Per questo, oggi, il doveroso ricordo della mamma del milite ignoto e dei nostri cappellani militari sia da sprono per ridestare e riaffermare con forza il nostro amore e la nostra fedeltà alla Religione cattolica e alla Patria.
Monsignor Gabriele Teti