Quello del giornalista è il mestiere più bello del mondo. Di questo ne sono convinto. Ma sono anche convinto che come accade per tutte le categorie professionali pure tra i giornalisti ci sono persone corrotte, scorrette, di parte. Pregiudicati, delinquenti, sciacalli. Accade in politica, accade nella sanità e perfino nella magistratura. E accade anche nel giornalismo.
Non mi sono perciò scandalizzato quando Di Maio e Di Battista hanno parlato di «pennivendoli e prostitute». Ci sono, purtroppo, esempi (negativi) che inducono a pensare anche a questo.
Pure la politica – lo racconta la storia – è piena di collusi, di amministratori che si sono fatti corrompere, che non hanno fatto gli interessi del Paese. Ma questo non mi invoglia a non credere nelle istituzioni.
Molti italiani in occasione delle ultime elezioni politiche hanno dato fiducia al Movimento di Grillo e Casaleggio. I 5 Stelle hanno raccolto consensi perché dicevano di essere diversi, di voler cambiare il Paese. Ecco, quello di voler cambiare le cose, alcune cose che in Italia davvero non vanno, è un ottimo proposito. Trasformare però una intenzione in fatti, in cose concrete è complicato.
Ne sa qualcosa Virginia Raggi. La sua elezione, insieme a quella di Chiara Appendino a Torino, ha rappresentato una svolta epocale nella politica italiana. Una cosa davvero impensabile un po’ di anni fa. Alla prova dei fatti, però, la sindaca di Roma ha lasciato molto a desiderare. Al di là di quanto raccontano giornali e tv, la Capitale non è messa bene. È vero, l’amministrazione pentastellata ha ereditato un fardello non indifferente di problemi che arrivano da lontano. Ma i romani hanno scelto Raggi perché convinti che più di ogni altro candidato avrebbe potuto affrontare e risolvere quei problemi.
L’approccio con il Campidoglio non è stato fantastico. Lo conferma la sentenza dell’altro giorno, che sì assolve la sindaca ma perché quanto commesso non costituisce reato. Quindi, le accuse mosse dalla Procura sono state riconosciute ma giudicate dal Tribunale non rilevanti penalmente.
Anche l’ex sindaco di Roma, Ignazio Marino, finito sotto processo per un esposto dei 5 Stelle (e di Fratelli d’Italia) è stato assolto. In quella circostanza l’attuale vicepremier Di Maio affermò che l’assoluzione non basta perché «non discute l’immoralità di alcune cose. C’è una questione legata alla magistratura – dichiarò all’agenzia Ansa -, poi c’è una questione precedente, sul fatto che, secondo alcuni riscontri, alcune cene fossero state fatte in maniera immorale. Noi ci dobbiamo sempre interrogare non sul fatto se sussista o meno il reato ma se grazie all’inchiesta siamo venuti a sapere di cose non del tutto etiche e allora quella è una vicenda su cui applicare una sanzione politica».
L’assoluzione di Marino non cancella l’immoralità del suo operato, quella di Raggi sì.
Come funziona? Se la sentenza è favorevole a un amministratore del Movimento, è lecito etichettare i giornalisti «pennivendoli e puttane»; se è favorevole a una persona che non ti garba, resta immorale il suo comportamento. Insomma, come il ragazzetto che porta via il pallone durante la partita di calcio se il risultato non gli piace. Legittimo, per carità: il pallone è mio e lo utilizzo come meglio credo. Ma non è un atteggiamento che si addice a una forza di governo.
Il Tribunale di Roma ha stabilito che Virginia Raggi andava assolta. Il giudice ha valutato le prove, le testimonianze, i fatti, certo non si è lasciato condizionare da giornali e televisioni. Questo vuol dire che ognuno ha fatto il suo “mestiere”.
Stando alla teoria di Luigi Di Maio, chi invece ha operato male è proprio la Raggi, perché «la sentenza non discute l’immoralità di alcune cose (…) e grazie all’inchiesta siamo venuti a sapere di cose non del tutto etiche».
Ho premesso che tra i giornalisti ci sono persone poco raccomandabili. Ma questo non autorizza un uomo di governo a sputare veleno e a minacciare un giorno sì e l’altro pure provvedimenti punitivi nei confronti del settore.
L’Ordine dei giornalisti e l’Assostampa del Molise hanno organizzato un sit-in in piazza Prefettura. L’evento è in programma dalle 12 alle 13. Io e i colleghi di Primo Piano Molise saremo lì. Ci saremo non perché sentirci chiamare «puttane o pennivendoli» ci ha offeso. L’offesa è qualcosa di più profondo. È un po’ come quando ricevi un rimprovero: quanto più hai stima della persona che te lo rivolge, tanto più lo stesso lascia il segno.
Di Maio e Di Battista stanno sciupando una grossa occasione: cambiare il Paese. Io ci credo che qualcosa possa cambiare. Non so chi saranno gli attori del cambiamento, ma ciò non muta la mia convinzione.
Così come sono convinto che nessuno, ma proprio nessuno, possa mettere in discussione la libertà di stampa. Perciò stamattina sarò in piazza Prefettura.
Luca Colella