In questi ultimi tempi ho verificato con sorpresa che le istituzioni hanno alzato i toni per urlare al mondo che il consumo di droghe sta raggiungendo dimensioni apocalittiche. Meglio tardi che mai, ma sempre tardi.
È evidente che tutti dobbiamo fare la nostra parte lavorando sul campo al netto di tutti gli slogan intinti di retorica a volte persino fastidiosa.
Sulla terribile problematica, tutti, senza esclusione per qualcuno, abbiamo grosse responsabilità.
Tutt’ora esistono larghissime sacche delle nostre generazioni giovanili che, in un regime ordinario, è come se avessero ricevuto dalla Società in cui vivono l’autorizzazione nei fine settimana per scegliersi una vita in cui rimane indissolubile ed indispensabile perdere il controllo di se stessi.
Lo scenario è diventato fisiologico, appartiene al ritmo della nostra vita, anche quelle minoranze non aduse a certi comportamenti assistono inermi alla tracimazione ma non si spaventano più perché la droga non fa paura neanche a loro.
Ormai i nostri ragazzi non conoscono quale è la linea di demarcazione tra il bene e il male.
Negli ultimi trent’anni tutto si è affastellato su queste dinamiche. Per decenni, tutti abbiamo mostrato la nostra incapacità ad affrontare la drammaticità che si stava costruendo in forma piramidale. C’è stata (e c’è) una manifesta resa per inabilità ad affrontare il problema.
Sul banco degli imputati innanzitutto ci sono le famiglie, poi le Scuole, le Comunità educative sportive e sociali. Sono queste strutture, una volta basilari per il vivere civile, che si devono resettare, azzerare, riunire per operare in sinergia senza pensare ad altro.
Ci vuole un lungo impegno monotematico per tentare di poter conseguire qualche successo.
Certo, se riteniamo che il problema possa trovare una svolta con i procuratori dei tribunali e gli organi di polizia che alzano i toni dell’allarme sociale e presidiano i cortili delle Scuole, siamo fuori contesto e affideremo la piaga ad una strategia che di sicuro è perdente.
La svolta deve essere copernicana tanto è vasta la portata della sua drammaticità.
Dobbiamo noi adulti farci carico degli insuccessi che abbiamo consegnato ai nostri figli e ai nostri nipoti. Abbiamo costruito una società che ha fatto sponda elastica alla dipendenza. La dipendenza al gioco, a Facebook, allo smartphone, al successo, alla ipocrisia, alla non regola, all’edonismo, al paraculismo, al carrierismo, alla presunzione, all’alcol.
La somma di quanto sopra enunciato ha portato alla tossicodipendenza.
Se non si rimuovono questi macigni non ce la faremo a riaprire la strada.
Padri, madri, nonni, professori, preti, allenatori, devono rendersi conto che negli ultimi trent’anni hanno fallito. Si sono girati dall’altra parte. Quei pochi che hanno combattuto spesso finivano persino sul banco degli imputati con l’accusa di visionari o di don Chisciotte di provincia. Perciò diventa impresa da titani pensare di vincere una partita troppo complicata e troppo compromessa.
Quelli che devono scendere in campo, si allontanino dai microfoni e dalle telecamere, informino solo le proprie coscienze poiché la riconversione parte anche dalla rinuncia alla spettacolarizzazione e a qualsiasi forma di edonismo, come dicevo.
Alle mamme e ai papà, a bassa voce, suggerisco di stabilire con i figli nuovi rapporti basati sulle regole che non hanno deroghe, poiché una vita con questa qualità relazionale, è una vita che si umanizza e si riempie di libertà.
Ai professori, ai dirigenti scolastici e alle maestre, sempre più afono, ricordo che la rincorsa al sapere tout court non ha senso se i ragazzi non sono educati alla socialità vera. Rivedano tutto e facciano intendere che, nella drammaticità in cui siamo affondati, è indispensabile insegnare, senza soste, la morale della vita. Una cultura profonda che va costruita e non posta. Prima di Dante e prima di un noioso corso per la Scuola digitale.
Questo dovrà essere l’impegno sul lungo percorso poiché ci vorranno anni per restituire una speranza che sia antigene all’apocalisse in cui siamo.
Potremo ritornare indietro e proporre modelli educativi che su certi versanti hanno fatto brillare le generazioni degli anni Cinquanta e Sessanta? Contro il tempo che avanza si può poco ma la resa sarebbe spalancare le porte alla cocaina dopo averle aperte. Dobbiamo provarci per poter sperare.
Sergio Genovese
dirigente scolastico Istituto superiore “M. Pagano” – Campobasso