«Aiutate la Procura a combattere i venditori di morte».
Nicola D’Angelo, capo dell’Ufficio requirente di Campobasso, qualche mese fa chiamò a raccolta i direttori delle testate giornalistiche locali. Non ci convocò in Procura, ma venne a “casa nostra”, nella sede dell’Ordine dei giornalisti. Si fece accompagnare da uno dei suoi sostituti, ma chiarì subito che tutto l’Ufficio era schierato in prima linea sul fronte. Il fronte di una guerra complessa: la lotta alle sostanze stupefacenti.
La Procura da sola avrebbe vinto numerose battaglie, però sconfiggere i venditori di morte senza l’intervento delle istituzioni – scuola in primis – delle famiglie, della società civile, non sarebbe stato solo difficile ma impossibile.
Il procuratore D’Angelo chiese aiuto ai cronisti, li arruolò in un conflitto che non prevede armi convenzionali e in cui ognuno è generale di se stesso. Lo scopo: fare opera di sensibilizzazione circa un fenomeno dalle proporzioni disarmanti. Un fenomeno che coinvolge migliaia di giovani (e anche meno giovani). La tossicodipendenza è una tragedia per chi fa uso di sostanze, ma anche per le famiglie: genitori, fratelli, nonni, zii. È come avere a che fare con un male incurabile, è come attraversare un tunnel buio e pieno di insidie, senza mai vedere la luce in fondo.
Dopo l’esito delle numerose operazioni portate a segno nell’ultimo periodo dalle forze di polizia, la situazione appare ogni giorno sempre più drammatica.
Quello che sta venendo fuori è lo spaccato di un luogo che in molti immaginavano ancora un’isola felice. E invece accade che nel centro del capoluogo due famiglie si organizzano allestendo un market della droga in casa: cocaina di buona qualità pesata e confezionata al dettaglio secondo la necessità degli acquirenti.
Certo, il paragone con Scampia può apparire improprio e, soprattutto, esagerato, ma il cliché è identico.
Nelle ultime ore il Molise ha scoperto grazie al prezioso lavoro e all’intelligente collaborazione di Polizia e Carabinieri, che una gang voleva conquistare Campobasso ispirandosi alla sceneggiatura di “Romanzo Criminale”. Un giovanissimo – ma già gravato da numerosi precedenti – graffitaro emulava il “Libanese” della fortunata serie tv ispirata alla “Banda della Magliana”. Ballava mentre lanciava in aria banconote da 50 euro come fossero coriandoli. Si faceva filmare e poi mandava in giro il video, probabilmente per affermare la sua egemonia. Voleva comprare una pistola, sarebbe servita per «sparare un colpo in fronte ai poliziotti che indagavano».
Con i suoi loschi affari e quelli dei suoi complici, guadagnava anche 2mila euro al giorno. E ne aveva già messi da parte 90mila, soldi rinvenuti in una intercapedine nel corso del blitz dell’altra notte. Un tesoretto che tanti comuni mortali non accumulano nemmeno in una vita segnata da stenti e sacrifici.
Circostanza davvero sconcertante, godeva del sostegno dei genitori. Insieme a loro discuteva delle strategie per eludere indagini ed eventuali controlli. Uno dei due, emerge dall’inchiesta, lo incitava a chiedere il reddito di cittadinanza.
Animato da violenza, picchiava e derubava le sue vittime. Immaginava rapine «da paura», era ossessionato dai soldi. Sognava una vita da gangster. Sognava di diventare il capo, il numero uno.
Sulla sua strada ha però ha trovato il procuratore Nicola D’Angelo e la sua efficientissima squadra di giovani e bravi sostituti. Ha trovato, solo per citarne alcuni, il questore Caggegi e il colonnello dell’Arma Gaeta; il capo dell’Anticrimine Farinacci e quello della Mobile Iasi; il capo del Nucleo operativo Di Buduo e quello del Nucleo radiomobile Felici. Ha trovato decine di poliziotti e di carabinieri che hanno stroncato la sua carriera delinquenziale e quella dei suoi complici.
Altri criminali, non è complicato intuirlo considerando le energie che la Procura sta impiegando nella lotta alla droga, incontreranno sul loro cammino il generale Appella, il colonnello Favia, le donne e gli uomini della Guardia di Finanza.
“La Banda della Magliana” e “Gomorra” – per ora – possono aspettare. Per i venditori di morte, certo, non è finita. Ma la strada è in salita e ricca di ostacoli.
Il procuratore D’Angelo sogna un “Molise senza sostanze stupefacenti”. Un Molise possibile, purché chiunque ha competenze e capacità si unisca a questa guerra che va combattuta senza se e senza ma. Ne va del futuro dei nostri figli.
Luca Colella