Affascinata dalla carta scritta fin da bambina – leggevo avidamente perfino la rivista del sindacato dei pensionati che arrivava a mio nonno – i romanzi di Giovanni Verga li ambientavo mentalmente nella contrada di Spinete dove ho vissuto fino a otto anni. La Sicilia dei Malavoglia la vedevo, per frammenti, in quell’angolo vicino al pollaio di nonna, nel verde dei campi che circondava il paesaggio per me così familiare.
Ho conservato questa ‘reazione’ alla lettura – cercare cioè di decodificare una storia o un personaggio sistemandoli nel mio vissuto perché altrimenti temevo di non capirli fino in fondo – finché non ho aperto ‘La forma dell’acqua’ di Andrea Camilleri. La Sicilia non c’era bisogno di contestualizzarla perché è la Sicilia, quella di Montalbano, che rapisce il lettore. Lo fa accomodare, lo rende protagonista. Capivo il senso di frasi in un dialetto – il dialetto che Camilleri ha modellato giocando a rendere universale quello vero – mai letto prima. Immaginavo, libera da assonanze personali, Vigata, Marinella, Augello e Catarella: i luoghi e i volti del mondo che Camilleri ha cucito addosso a Montalbano. E a tutti noi, tutti coloro che il nuovo libro lo attendono ogni volta e sanno che arriverà. Ne arriverà anche un altro, stavolta l’ultimo.
Maestro, scrittore geniale, ha vissuto dicendo sempre ciò che pensava: la libertà degli artisti che non tutti sanno tramandare. Camilleri ci è riuscito per caratteristiche e valori che nel mondo di oggi sono rari. Ma in lui erano vivi e numerosi. Raccontare storie che diventano storia collettiva di un Paese è stata credo la più grande dimostrazione del suo carisma. Questione di contenuti e linguaggio, poi la serie televisiva e Luca Zingaretti.
Ci sono però tratti distintivi di tutta la sterminata produzione di Andrea Camilleri e che penso abbiano avuto un ruolo decisivo nell’essere Camilleri e come lui nessun altro: il rifiuto ostinato dello stereotipo e la conseguente descrizione di realtà sottaciute dalla letteratura popolare. Quando c’è un omicidio a Vigata difficilmente c’entra la mafia, i clan rivali guerreggiano fra loro ma Cosa nostra non è l’opprimente o onnipotente cupola da cui dipende anche la direzione del vento. E infatti non lo è più da tempo. Camilleri vede prima di tutti i cambiamenti epocali che si consumano da venti anni a questa parte: la tratta di esseri umani, perlopiù bambini utilizzati per l’espianto di organi da scafisti e assassini di mafie straniere. È cronaca di queste settimane, era il fulcro del ‘Giro di boa’ (2003).
L’uomo. Al centro dei suoi racconti, c’è sempre stato l’uomo. Con le sue bassezze spesso. Storie che rammentano che il male esiste nel cuore e nell’anima prima che nelle bande criminali. ‘La luna di carta’ è uno dei romanzi più duri e perciò più ipnotici di Camilleri: Michela Pardo ha un rapporto così morboso col fratello da ucciderlo con un colpo di pistola in faccia per gelosia.
Che cosa ricordare di Camilleri? Tutto. La lingua, ormai patrimonio comune: camurrìa, cabasisi, babbiare, gli occhi che facevano pupi pupi. Montalbano sono. E poi Montalbano che medita di dimettersi dopo gli abusi della polizia al G8 di Genova. Camilleri nell’intervista a Radio Capital: Salvini col crocifisso mi fa vomitare. Mai che si sia tirato indietro, il Maestro, rispetto al coraggio delle proprie idee. Il suo più grande insegnamento. Non sarebbe giusto ricordarlo solo per la frase su Salvini, però. Perché nella stessa intervista ha detto anche: i 5 Stelle politicamente non sono nessuno, nel Pd non vedo un’idea di rinascita. Insomma, una bella camurrìa. E perché sarebbe talmente riduttivo da non meritare neanche la più strafottente delle reazioni del commissario.
Rita Iacobucci