Ospedale Cardarelli: un nome, una struttura che – soprattutto nell’ultimo periodo – evoca sensazioni d’angoscia per il destino “incerto” che lo riguarda, per le dinamiche di smantellamento incomprensibili messe in atto, per la sterilità di una politica regionale e nazionale rispetto alle capacità di potenziare e sostenere menti eccelse che qui lavorano, operano ed esercitano senza distinguere il giorno dalla notte.
Per me e la mia famiglia l’ospedale Cardarelli – e nello specifico il reparto di Ortopedia – è stato un luogo di trasformazione dell’incertezza in certezza, è stato il posto dove alla paura si è sostituita la scienza sanitaria accompagnata dall’assistenza medica e infermieristica di primissimo livello.
Ho conosciuto questo reparto per due motivi negli ultimi mesi e per due patologie diverse che hanno riguardato due congiunti molto giovani.
Il primo caso: patologia lunga e tortuosa, per la quale abbiamo girato professionisti «suggeriti da chiunque», pagati con fior di quattrini tra visite private e lunghissime ore di attesa. Fin quando in un momento di emergenza (non tutto il male viene per nuocere) fummo sottoposti ad una consulenza dal professore Pancrazio La Floresta, direttore del Diparimento. Vivaddio che al Cardarelli esistono professionisti di un tale spessore. Diagnosi eseguita e soluzione individuata. Dopo anni di viaggi a Roma, Bari, Milano perché «a Campobasso non sono bravi», dicevano, io in questo ospedale – bistrattato e abusato dalla violenza politica – ho trovato diagnosi e cura per una malattia che rischiava di diventare totalmente invalidante.
Il secondo caso, meno complesso del primo, ma comunque oggetto di intervento chirurgico con degenza. È stato proprio durante il ricovero che ho osservato, ascoltato, esaminato volti, parole, modo di fare e lavorare di coloro che operano nel reparto di Ortopedia. Credetemi: è qualcosa che va al di là di ogni immaginazione e che nulla ha a che fare con l’ordinario pregiudizio. I dottori Giovanni D’Oronzo e Salvatore Miceli, per esempio, non sono stati da meno rispetto al direttore La Floresta: professionisti straordinari. Scrupolosi. Puntigliosi. Attenti.
Fare singoli nomi è però antipatico, perché nel reparto di Ortopedia lavorano, tutti – nessuno escluso – con la stessa passione e lo stesso spirito di servizio. Atteggiamento che ho conseguentemente riscontrato anche nell’equipe delle sale operatorie. Ho atteso qualche giorno prima di scriverne, volendo evitare eccessi emotivi e, se possibile, andare al di là della singola esperienza personale.
Pertanto posso sintetizzare in quattro elementi i punti focali capaci di comporre la struttura ospedaliera e di fare del dipartimento di Ortopedia un’eccellenza.
Il primo: il valore e l’efficienza dei medici nonché la qualità delle cure terapeutiche. Gli interventi chirurgici prima, le terapia poi, sono una prima, fondamentale chiave di volta. Nel reparto di Ortopedia consentono una qualità della vita inimmaginabile a giovani e meno giovani.
Il secondo: abilità, autorevolezza, competenze e professionalità del personale. Primario, medici, infermieri, Oss, ciascuno nel proprio ruolo, hanno costantemente mostrato preparazione, serietà, pazienza, gentilezza e una chiara consapevolezza della funzione che sono chiamati a svolgere. Qualità niente affatto scontate, perché in giro per l’Italia le ho riscontrate raramente.
Il terzo: l’organizzazione del reparto. Assistenza costante, controllo continuo delle evoluzioni terapeutiche in funzione dei miglioramenti del paziente, passaggio di consegne meticoloso (medici e infermieri appena entrati in turno sono informati anche di piccoli episodi accorsi a ciascun paziente nel turno precedente). È chiaro che c’è un gran lavoro dietro, ma delle difficoltà oggettive che ogni settore può incontrare, il paziente non ha alcun sentore perché quello che arriva da tutto il personale è sempre un sentimento di rassicurazione e appropriatezza.
Il quinto: l’umanizzazione dell’ospedale. Senza mai schiodarsi dal principio cardine (che in reparto si legge finanche sulle pareti) sintetizzato in «scienza e conoscenza» e che in corsia si respira ovunque, ortopedici e chirurghi sono però capaci di strappare pure un sorriso al paziente più spaventato contravvenendo alla rigidità dei protocolli che rendono fredda finanche una stretta di mano. Tutto avviene con l’immancabile complicità di un personale infermieristico eccezionale.
Sono certa di non sbagliare se dico che il reparto di Ortopedia è un’eccellenza. Anzi se dico che tutto il Cardarelli lo sia.
E sono certa di non sbagliare se dico pure che una politica così irresoluta rispetto alle strategie di potenziamento per rendere questa struttura attrattiva e competitiva è mortificante per ogni cittadino molisano e non.
Desidero quindi tributare un riconoscimento pubblico alle persone che operano nel reparto di Ortopedia e a quelle del Blocco operatorio. Reparti che lavorano in simbiosi.
Personalmente non saprò mai ringraziarle abbastanza, pubblicamente spero di aver contribuito ad una minima riflessione su quanta ricchezza professionale e umana si rischia di perdere se alla sanità molisana non si inizia a rendere il giusto merito.
Cristina Niro