I 700 cantori ‘scaldano’ la voce in piazzetta Palombo. Alle 18 dalla chiesa di Santa Maria della Croce, dove un tempo sorgeva la sede dei Crociati, le statue del Cristo morto e della Madonna addolorata, protette da una folla di fedeli, iniziano la loro marcia. Le note del Teco Vorrei, alternate ai versi del rosario, inondano il cuore del centro storico e commuovono le migliaia di persone accorse in città. È la processione del Venerdì Santo, è la processione di Campobasso. Poco prima delle 20 il corteo arriva in via Cavour per il momento forse più toccante e suggestivo della processione. Quest’anno, per la prima volta, il detenuto legge la sua preghiera fuori dal carcere. A Giuseppe, i circa 150 reclusi dell’istituto penitenziario di Campobasso, affidano i loro sentimenti, le loro speranze, i loro sogni. Prima della preghiera Giuseppe recita un monologo ispirato e tratto dal libro di Qoèlet (Ecclesiaste):«Perché finalmente l’abbiamo imparato che c’è tempo soltanto se c’è un tempo, un tempo per ogni cosa. C’è un tempo per cambiare e un tempo per tornare gli stessi di sempre, un tempo per gli amori e un tempo per l’amore, un tempo per essere figli e un tempo per farli i figli, un tempo per volere una vita spericolata e un tempo per trovare un senso a questa vita che è anche l’unica che abbiamo. C’è un tempo per raccogliere tutte le sfide, un tempo per combattere tutte le battaglie, un tempo per fare la pace e un tempo per esigerla la pace. C’è un tempo per dire e un tempo per fare e non è detto che di mezzo debba esserci una barca, a volte basta uno sguardo a volte basta una scheda elettorale, c’è un tempo per innamorarsi prorogabile. C’è un tempo per ballare e un tempo per aspettare, un tempo per correre e un tempo per il silenzio e se c’è un tempo bellissimo per ricordare allora ce ne deve essere uno calmo per dimenticare ma senza perdere e senza perdersi. Perché se c’è un tempo per dormire e uno per morire forse, forse se siamo sempre stati bravi e attenti e continuiamo a tenere gli occhi spalancati, allora c’è forse c’è anche un tempo infinito per sognare…».
Poi i versi rivolti alla Vergine: «Cara Madonnina, ti preghiamo o Madre Nostra, Tu che sei piena di bontà, amore e misericordia aiuta tutti noi detenuti della Casa Circondariale di Campobasso, a ritrovare un percorso di vita che ci permetta di vivere in modo onesto e ritrovare il senso della vita.
Madonna nostra, Tu che sei la Madre per eccellenza, Tu che sai cos’è la sofferenza,Ti chiediamo con l’umiltà nel cuore di esaudire i nostri desideri. Proteggi tutti i nostri cari, affinché sentano sempre la Tua presenza nelle varie prove. Noi ci offriamo a Te e desideriamo che Tu ci segua in ogni nostro passo. Se per caso dimentichiamo o perdiamo la via della fede, illuminaci e riconduci tutti noi a Tuo Figlio Gesù. Amen».
Teco Vorrei, le note del De Nigris simbolo di una comunità
Metastasio, tra i maggiori librettisti del Settecento e considerato il riformatore del melodramma italiano, fu attivo alla corte di Vienna, dove tra il 1730 e il 1740 godette di grande successo, e i suoi testi furono musicati più volte nel corso di tutto il secolo. A Campobasso invece è diventato il simbolo della religiosità musicale popolare. La Passione di Gesù Cristo, scritto nel 1730 e musicato da Antonio Caldara e, dopo di lui e fino al 1811, da altri undici musicisti, fra i quali Antonio Salieri, lo rese famoso. Campobasso ha adottato Metastasio come poeta popolare ed alcuni versi dell’abate si tramandano oralmente da padre in figlio. Nei primi anni del Novecento, Michele De Nigris, insegnante di canto e musica, scrive l’Inno all’Addolorata – marcia funebre, originariamente composizione per organo e voce (cfr. La Settimana Santa a Campobasso – Musica e Ritualità tra ‘800 e ‘900 di Vincenzo Lombardi, Arti Grafiche la Regione). L’utilizzo della tastiera fa pensare ad un uso interno della musica legato ai riti della settimana santa e non è dato sapere se il testo sia quello del Metastasio, quel Teco vorrei o Signore che è l’introduzione della Via Crucis cantata che viene eseguita nelle chiese della città.
E’ certo invece che la musica del De Nigris e i versi del Metastasio vengono sdoganati dalle chiese dalla devozione popolare e che l’Inno all’Addolorata diventa uno degli inni che viene cantato, presumibilmente, al seguito della Processione della Desolata (Maria che cerca il figlio), quando la statua della Madonna e i simboli della Passione (la croce, i chiodi, il martello, la corona di spine, il gallo…) vengono portati in processione dai bambini a partire dalle 6 del mattino. Sicuramente è uno dei canti che accompagnano la Processione dell’Addolorata e del Cristo Morto, dopo che la tradizione della Desolata viene accantonata. L’esecuzione è a cappella, cioè senza accompagnamento strumentale. Nel 1934 viene eseguita un partitura, per due voci femminili e fanfara, dal Coro della Schola cantorum dell’Azione cattolica femminile con un numero di esecutrici ancora contenuto. Chi, invece, darà all’inno l’attuale struttura strumentale che ancora oggi ascoltiamo nel corso della Processione del Venerdì Santo è il maestro Lino Tabasso, il compositore de L’amore è bell’ a ‘ffà e di tante altre indimenticabili canzoni dialettali. Nel 1939 scrive la partitura bandistica e poiché è anche direttore della Centuria corale (cento coristi) introduce anche le voci maschili. L’Inno dell’Addolorata comincia ad assumere i contorni di una coralità corposa, ancora lontana però da quella attuale. Negli anni Cinquanta e Sessanta tocca ai maestri Luigi Aurisano e Domenico Fornaro raccogliere l’eredità di Lino Tabasso, ma la vera svolta si ha sulla fine degli anni Sessanta con don Armando Di Fabio, scomparso nel novembre del 2011, una vita interamente spesa tra missione presbiterale e passione musicale. Grazie alla sua paziente opera di direzione e, soprattutto, al suo indiscusso carisma, il coro della Processione del Venerdì Santo a Campobasso, con i suoi settecento esecutori, arriva ad essere un ‘unicum’ difficilmente imitabile e ripetibile. Il coro è diretto oggi dal maestro Antonio Colasurdo e conta settecentocinquanta cantori.
Bregantini: «Non dimentichiamo l’altro, solo il ‘noi’ ci permette di non smarrirci»
Il messaggio alla città del vescovo Bregantini si apre con l’abbraccio al detenuto: «Questo nostro fratello ci ha rivolto un monito perché il tempo sia medicina, perché possa guarire le ferite. Giuseppe è arrivato carico di problemi, ora è diverso ritrovato nella speranza, ci ha dato coraggio è diventato nuovo, e proprio per questo ha pregato la Vergine per tutti noi. Perché troppo spesso perdiamo il nostro tempo in cose non cose vane sterili e addirittura ingiuste».
Poi si sofferma sui versi del Metastasio. ‘Smarrire’è la parola su cui padre Giancarlo invita i fedeli a riflettere. «Oggi la fatica è grande, la seduzione è forte e la strada è in salita. Non dobbiamo smarrirci di fronte alle tante tragedie (ricorda i suicidi che nell’ultimo periodo hanno scosso Campobasso), come la droga e il gioco d’azzardo. Chiedo al Signore di essere il filo che raccoglie tutte le perline, quando il filo è robusto le perline della vita non si smarriscono e diventano una grande collana». E ancora l’esortazione contro ogni forma di discriminazione e razzismo: «Non abbiate paura di chi viene da altre terre, il Papa ci dice che da una sintesi di tante realtà creiamo una nuova identità. Gli immigrati non ci rubano nulla – dice – ci danno una mano, come fecero tanti anni fa le comunità di Albania e Croazia. Non dobbiamo essere individualisti non dobbiamo dimenticare l’altro».
E ancora, l’appello alla politica in vista delle prossime elezioni: «Priorità alle aree interne, alle strade, rilanciate il turismo, difendete la salute e le aziende. Coinvolgete i giovani. Questi sono i temi che vorremmo discutere con i candidati». E conclude prime della benedizione: «Mai il popolo senza la politica e mai la politica senza il popolo, solo il ‘noi’ ci permette di non smarrirci».