A tu per tu con Letizia Bindi, docente presso l’Unimol di Campobasso e coordinatrice della candidatura di ‘Agnone capitale italiana della Cultura 2026’.
Perché ha accettato di guidare questa sfida di Agnone capitale italiana della cultura 2026?
«Sono stata invitata dal sindaco Daniele Saia a coordinare il Comitato promotore di Agnone capitale Iialiana della Cultura 2026 e sono particolarmente onorata di questo incarico che mi riempie di responsabilità, ma al tempo stesso mi ha coinvolto e stimolato. In questi ultimi anni con il centro BioCult dell’Unimol abbiamo lavorato molto nei e con i territori e le comunità locali. In particolare per ciò che concerne progetti di ricerca e capacity building (Horizon, Erasmus +, PRIN, ecc.) e progetti più centrati sulla terza missione, sull’impegno di rigenerazione comunitaria, sullo sviluppo locale sostenibile. Ed ancora, su molti progetti internazionali con altre università e Ong europee e extraeuropee. Questo ha fatto maturare riflessioni ed esperienza che ho pensato di poter mettere a disposizione di questo progetto».
In un certo senso lei è il capitano di una squadra che in pochi mesi ha messo su il dossier che sarà presentato a Roma. Vuole spiegarci di cosa si tratta a partire dal titolo: “Fuoco dentro, margine al centro”.
«Direi piuttosto una bricoleur – una metafora cara a noi antropologi – che ha cercato di mettere a frutto tutto quello che le metteva a disposizione generosamente questo territorio dando ad esso una chiave di lettura. Anche se è stato e continua ad essere molto impegnativo, considero un privilegio e una grande esperienza di conoscenza profonda di un’area vasta quale l’Alto Molise nella quale mi trovo a lavorare da diversi anni nel quadro di progetti ed etnografie diverse ma accomunate da questa attenzione ai temi del margine che torna a farsi centro, un’idea mutuata non a caso da un antropologo di origine molisana, Alberto Mario Cirese, che ha sempre sostenuto l’importanza di questa ri-articolazione critica dei rapporti tra centri e periferie, tra ‘polpa’ e ‘osso’ del Paese. Per Agnone dunque abbiamo pensato a una candidatura in certo modo regionale che stringe intorno alla cosiddetta ‘Atene del Sannio’ i suoi 136 comuni, le aree montane, i tratturi, le aree urbane a loro volta interconnesse con le campagne, con il sistema transumante. E poi abbiamo pensato a un grande tema ordinatore, un elemento naturale come filo rosso unitario: il fuoco. Elemento naturale e simbolico, plasmatore e trasformatore di altre risorse e sostanze naturali. Al tempo stesso luce che illumina la strada, che permette di vedere il futuro l’innovazione, l’energia ma anche le pratiche condivise di inclusione, di circolarità e di accoglienza. In estrema sintesi, un grande progetto di animazione territoriale integrato, capace di dinamizzare e attivare energie di rigenerazione per l’intera area vasta di riferimento e per la regione tutta».
Quali, a suo avviso, i punti di forza della candidatura dell’antica Atene del Sannio che potrebbero colpire positivamente la Commissione?
«Il progetto è davvero frutto di un lavoro condiviso. Una collaborazione tra tutte le componenti che a livello territoriale coinvolgono le istituzioni deputate alla conservazione e valorizzazione dei beni culturali: il sistema delle competenze con l’Università, gli istituti di tutela e conservazione dei patrimoni, ma anche i privati, il Gal, i Comuni coinvolti nella strategia nazione per le aree interne fino alla Green Community da poco istituita ad Agnone e già premiata in Molise con un fondo ministeriale dedicato. Ciò che caratterizza il programma di Agnone 2026 è la sua forte coerenza, l’integrazione tra le attività, il suo insistere sull’elemento fuoco come chiave di lettura della comunità e del territorio e al tempo stesso come filo conduttore che ritesse un legame tra passato, presente e futuro della città, della sua storia densa, aperta, dinamica e al contempo di un territorio fragile, a rischio di un crescente spopolamento».
Regione e Unimol che ruolo possono giocare?
«Entrambe le istituzioni sono intensamente coinvolte nel progetto: hanno sottoscritto un protocollo con più istituzioni che supporterà la candidatura. La Regione contribuirà anche finanziariamente, mentre l’Università con la presenza del Magnifico Rettore e della sottoscritta, ha siglato la volontà di stare al fianco del Comune fornendo saperi e competenze necessarie per pensare di poter riuscire in questa impresa. Ladoppia sinergia fa di Agnone il cuore di un processo di rigenerazione appenninica, di una nuova centralità delle aree interne che inverte una tendenza allo spopolamento, all’abbandono, alla scarsezza di servizi fondamentali, ma anche di luoghi e di spazi di confronto, di socialità e creatività. Sia la Regione che l’Unimol possono esprimere in questa circostanza quella funzione rassicurante di mediatori tra livelli e spazi pubblici di cultura diversi».
Ventisei città in lizza tra cui l’Aquila, Lucca, Potenza, Todi, Cosenza Nuoro, tanto per citarne alcune. Crede veramente che Agnone possa entrare quanto meno nel novero delle prime dieci?
«Mi pare che siano divenute 25 per rinuncia di una città già candidata. Al di là di ciò, il panorama delle città candidate è molto ricco e con dei territori densissimi. Come già ho avuto modo di dire per il Bando Borghi Linea A conferito a Castel del Giudice, del cui progetto mi sono occupata, non amo i bandi che mettono i paesi in competizione, e credo che questa deriva competitiva sia fuorviante e sintomatica di un modo mercificato del fare cultura nei territori. Contestualmente sono dell’avviso che questi processi possano rappresentare opportunità formidabili di sviluppo a livello locale».
Durante le due conferenze di presentazione si è parlato molto di mettere in rete le peculiarità dell’intero territorio: dalla costa, all’altissimo Molise. In che modo state agendo?
«Il programma delle attività e la stessa filosofia ispiratrice di tutto il progetto pensa al Molise come a un territorio diversificato al suo interno, ma al tempo stesso compatto, caratterizzato dall’appartenenza appenninica, dalla radicale storia agropastorale, ma anche da una profondità storica e artistica, da una ridondanza ambientale e di biodiversità che merita di essere messa in valore nella sua interezza. Per fare del progetto di Agnone Capitale 2026 un progetto più complessivamente regionale abbiamo approntato dapprima un protocollo di supporto alla candidatura con tutti i principali enti preposti alla custodia e valorizzazione dei patrimoni culturali (Regione, Università, Soprintendenze, Direzione Regionale Musei, Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale). Accanto a ciò abbiamo chiesto e si sta realizzando in modo sorprendente che tutti i comuni del Molise aderissero attraverso una lettera di supporto all’iniziativa così come le Province, il Gal Alto Molise, la SNAI Alto e Medio Sannio, la riserva MaB. Accanto a questi soggetti più strutturati abbiamo inoltre raccolto l’adesione del mondo delle associazioni e fondazioni non solo locali, dell’imprenditoria e delle cooperative. Crediamo che il progetto Agnone possa mobilitare tutta la regione e divenire polarizzatore di un intero percorso in stretta connessione con l’altro progetto che si sta avviando a poca distanza, quello di Castel del Giudice che non a caso terminerà nel 2026 formalmente con un grande ‘fuoco’ di iniziative e attività che potranno entrare in straordinaria sinergia con quelle di ‘Agnone Capitale 2026’».
Entrare tra le prime dieci finaliste sarebbe già un grande successo?
«Entrare nella decina sarebbe già un risultato importantissimo: significherebbe aver lavorato in linea con le direttive del bando, aver posto in essere la partecipazione richiesta, la coerenza con gli obiettivi dell’agenda 2030 e con il principale obiettivo di animazione culturale. Abbiamo pensato di seguire e restituire all’esterno questo processo di collaborazione tra il territorio e la nostra Università, raccontando i modi e le forme di elaborazione del dossier e la comunità di competenze che si è costituita intorno ad esso».
In definitiva, ci potrebbe dire in termini percentuali quante possibilità ha Agnone di laurearsi Capitale italiana della cultura 2026?
«Difficile dirlo. Tutte le città e le aree candidate sono molto interessanti e tutte hanno cercato di individuare la chiave migliore per valorizzare le specificità territoriali e la ricchezza dei loro patrimoni. Quello che mi sento di dire è che quella di Agnone è stata, durante tutto il suo iter, una candidatura condivisa, coerente e fortemente radicata nel territorio che circonda la città altomolisana. È condivisa per la lunga storia di progetti comuni svolti nel territorio e che potranno sicuramente corroborare in caso di selezione positiva le molte attività previste, ma anche per i molteplici incontri con la popolazione locale, la grande rete costruita di cooperazione e supporto con il resto degli attori regionali nei vari livelli. È coerente perché individua un filo e lo sviluppa articolandolo in cinque assi di attività e di progettazione, focalizzando un tema cruciale di questi anni: quello delle aree fragili, interne, spopolate e della loro rigenerazione e ri-abitazione e lo coniuga col fuoco che è un elemento ispiratore della cultura materiale e immateriale agnonese in ogni sua iniziativa. È radicata nel territorio perché parte da una conoscenza approfondita e multidisciplinare della cultura, della storia, del paesaggio, delle economie, dei patrimoni naturali e culturali di questa città e della regione nel suo complesso. Riprendendo una felice sintesi di Alberto Mario Cirese, grande antropologo di origini molisane, si può ribadire che si tratta di un progetto ‘con i piedi nella terra e la testa nel mondo’».