La recente puntata di Report sull’omicidio Moro ha scosso l’opinione pubblica agnonese per il presunto coinvolgimento, sia pure marginale e nelle primissime fasi delle indagini, dell’allora commissario di Polizia, Enrico Marinelli, all’epoca dei fatti a capo del commissariato di Monte Mario. Nei giorni successivi alla messa in onda della trasmissione di inchiesta della Rai abbiamo ospitato, su queste colonne, l’intervento del collega giornalista e docente di storia e filosofia nei licei molisani Sergio Sammartino, in qualche modo “persona informata sui fatti”. Lo stesso infatti, non solo è uno stimato studioso della storia contemporanea, ma ha avuto dei contatti diretti con alcune personalità che hanno avuto un qualche ruolo nella vicenda; a cominciare dal padre Remo, senatore Dc appunto, ad esempio, e Gero Grassi, deputato del Partito democratico che fu a capo della Commissione parlamentare d’indagine sul caso Moro. Nel tentativo di fare ulteriore chiarezza, abbiamo intervistato, in esclusiva per la nostra testata, Sergio Sammartino.
Professor Sammartino, nel nostro ultimo articolo abbiamo citato estesamente un suo intervento su Facebook a proposito del caso Moro, ed abbiamo avuto l’impressione di averle causato qualche problema…
«In effetti, non mi aspettavo che le mie parole fossero divulgate, erano riservate a quelli che sul social si definiscono “amici”. Comunque qualche imbarazzo lei me l’ha causato (sorride, ndr)».
In che senso?
«Da quel che scrive, sembra che io abbia ricevuto confidenze sui misteri della Storia d’Italia, sia dal questore Marinelli e sia da mio padre Remo (Senatore della Repubblica, ndr); e questo potrebbe suscitare ire nella famiglia Marinelli come nella mia: quei due sembrano quasi essi stessi membri di un vasto complotto, e complici di certe malefatte mantenute in un groviglio di segreti. In verità io dell’affaire Moro non ebbi mai modo di parlare con Enrico Marinelli. Quanto a mio padre, con noi famigliari parlava pochissimo anche di fatti politici meno scottanti; figurarsi se lo avrebbe fatto su cose così problematiche come un delitto politico che le ricerche più recenti rivelano sempre più come un delitto di Stato, o di più Stati, come dimostra la sintesi svolta nell’ultima puntata di Report, che io ho commentato su Facebook».
Eppure lei ha scritto che “sapeva da molto tempo” ciò che Report ha rivelato.
«Sapevo come ogni altro buon “addetto ai lavori”, e come dovrebbe sapere ogni valido docente di Storia, come io mi sforzo di essere. Sapevo perché ho scritto per 25 anni su giornali nazionali di antico prestigio come il Tempo e l’Avanti, e da certi giornalisti-maestri qualche voce, ogni tanto, l’ho ricevuta. Soprattutto ho avuto occasione di parlare con Gero Grassi, deputato del Partito democratico che fu a capo della Commissione parlamentare d’indagine sul caso Moro».
Lo intervistò da giornalista?
«No. A quel tempo già non avevo più voce nei giornali. Credo sia stato nel 2018. Venne a parlare nell’auditorium del Liceo Classico di Campobasso dove insegno tuttora».
Che cosa disse?
«Quel che Report ha riportato, scusi il bisticcio di parole: che i Brigatisti Rossi furono solo il paravento di una congiura che vedeva implicati uomini dei Servizi Segreti italiani ed esteri, tutti nell’ambito della Nato, specie inglesi e americani, con coinvolgimento anche di uomini delle mafie, che i servizi cooptano sempre per i “lavori sporchi”».
Chi poteva avere interesse alla scomparsa di Moro?
«Stava per portare i comunisti nell’area di governo: avrebbero avuto accesso ai documenti della Nato. A quel tempo erano ancora troppo legati a Mosca. Nel ‘74 Moro va in viaggio istituzionale negli Usa; il Segretario di Stato americano, Kissinger, gli dice chiaro chiaro: “Se lei prosegue su questa via, farà una brutta fine”. Questo, tra l’altro, lo raccontò la sua vedova, al processo contro i brigatisti. Proprio quell’anno salta in aria con una bomba il treno Italicus su cui Moro avrebbe dovuto viaggiare. Fu fatto scendere all’ultimo minuto da due funzionari mai identificati».
Lei ha fatto cenno anche a legami dell’affare Moro con le stragi fasciste.
«Anche i fascisti italiani furono abbindolati e strumentalizzati da forze ben più articolate e pervasive. Parliamo solo della prima e dell’ultima di quelle stragi. Nel dicembre del 1969, nella Banca dell’Agricoltura a Milano i fascisti veneti posizionano una bomba a basso potenziale e ad orologeria: doveva esplodere dopo l’orario di chiusura senza fare vittime. Qualcuno, accanto a quella bomba ne posiziona un’altra col tritolo e a miccia: scoppia subito e fa esplodere anche l’altra, provocando il massacro. A Bologna, il 2 agosto del 1980 muoiono 85 persone e 200 restano ferite. Quella strage è stata imputata ai Nar Giusva Fioravanti e Francesca Mambro che stavano già in galera con diversi ergastoli da scontare, per delitti sempre ammessi, mentre su quella strage non hanno mai accettato di confessare. Ma poi si arriva a scoprire che la regia era della famigerata Loggia P2 di Licio Gelli, del quale anni fa una coraggiosa giornalista scrisse che era verosimilmente un agente al soldo della Cia. Lui stesso millantava sfrontatamente una granitica impunità: andava dicendo “tanto a me nessuno mi può toccare”».
Ma c’è un bandolo della matassa da recuperare?
«Caro mio, in Europa, e anche altrove, si è combattuta una strisciante terza guerra mondiale, per la conquista del territorio da parte dei due blocchi: quello sovietico e quello legato agli Stati Uniti. L’Italia stava nel mezzo, ed era preziosa, sia per posizione geo-politica sia per distribuzione del suo elettorato: avevamo il partito comunista più forte d’Europa e il partito neo-fascista e neo-nazionalista più votato. Quelli che alla fine della Guerra Mondiale avevano conquistato l’Italia ai propri interessi geo-politici non erano certo disposti a perderla per la “bazzecola” della libertà di voto e di espressione. La strategia del terrore fu architettata per tenere gli Italiani stretti attorno ai partiti atlantisti».
Fino al punto da ordire stragi?
«Senta, i bombardamenti americani durante l’ultima guerra mondiale hanno fatto in Italia 25mila vittime civili. Le pare che ci si possa spaventare di aggiungere qualche centinaio in più per i “sani equilibri del Mondo”?».
E i Russi, non sapevano nulla?
«Esisteva un gioco di equilibri, una specie di codice cavalleresco tra agenti segreti, per cui gli uni non svelavano le mascalzonate degli altri, ben sapendo che le stesse accuse si potevano rivolgere a loro. D’altra parte anche la Russia voleva impedire che il Partito Comunista si “imborghesisse” e si distaccasse troppo da Mosca, andando a fare un Governo con la Democrazia Cristiana. Non a caso Berlinguer, capo del Partito comunista, subì un attentato di sospetta matrice russa mentre era in visita in Bulgaria. Quanto al nostro grande partito di centro, un ex brigatista ha fatto capire che, durante la prigionia, Moro aveva ammesso le responsabilità della Dc nella strategia della tensione».
Oggi la situazione è cambiata?
«Guardi, credo che i nostri governi, da noi “liberamente” eletti, prima di insediarsi debbano chiedere il permesso a certe ambasciate. Quando il neo comunista Rizzo dice che i partigiani che son morti per dare la libertà agli Italiani sono stati traditi, beh, non ha tutti i torti».
Naturalmente queste sono ipotesi, non è vero?
«Certo! Pure ipotesi! Giochi mentali di un professore di Storia e Filosofia e di un giornalista! Non meritiamo la galera (ride, ndr). E poi i Brigatisti hanno scritto un ottimo memoriale, anche se Report lo analizza trovandovi tutte le contraddizioni e le incongruenze».
Secondo lei suo padre sapeva qualche cosa?
«Guardi, era un uomo integro, a volte fino all’ingenuità: non credo proprio che qualcuno dei capi più potenti potesse mai sentire il bisogno di coinvolgerlo in fatti tanto oscuri».
F.B.