È un vero paradosso quello prodotto dal regalo che Fratelli d’Italia ha fatto a sé stesso: il ministro meloniano Gennaro Sangiuliano ha assegnato il titolo alla città del sindaco meloniano Pierluigi Biondi, quattro giorni dopo la riconferma del meloniano Marco Marsilio come governatore d’Abruzzo. Al fianco del capoluogo abruzzese si è schierata anche la vicina Rieti guidata dal meloniano Daniele Sinibaldi. Un’assegnazione che appariva dall’esito scontato già ai nastri di partenza della sfida tra le città italiane. Questo, a differenza di tre anni fa, quando L’Aquila si candidò per la Capitale della cultura 2022 e perse. Torniamo al paradosso. Gravemente danneggiato dal sisma del 2009, è ancora chiuso uno di quei luoghi (insieme al Duomo, anche questo inagibile) identitari della città dell’Aquila, il Teatro comunale. Si confidava nella riapertura per il 2023, nella ricorrenza dei 150 anni dell’inaugurazione. Ritardi nelle procedure e la necessità di ulteriori fondi hanno reso l’obiettivo impossibile. È quanto rilancia Il Fatto Quotidiano all’indomani della proclamazione della Capitale della Cultura tenutasi a Roma lo scorso 14 marzo. Tra le dieci candidate c’era anche Agnone il cui dossier è piaciuto a molti addetti ai lavori, ma non alla commissione presieduta dal giornalista Davide Desario, che ha promosso L’Aquila. A febbraio di quest’anno, in piena campagna elettorale per le Regionali, Meloni e Marsilio hanno stretto l’accordo che promette al sindaco Biondi i 5 milioni di euro che mancavano – rimarca il giornale diretto da Marco Travaglio – Ma i lavori del secondo lotto sono ancora lontani: bisogna finire le verifiche sismiche e validare il progetto, cambiare stazione appaltante (il Comune vuole sostituirsi al Segretariato regionale per i Beni culturali, cioè il ministero di Sangiuliano), avviare ed eseguire la gara d’appalto. Terminare i lavori per riaprire il teatro entro il 2026 appare un’impresa ardua. La vicenda – sottolinea ancora il quotidiano nazionale – è anche uno dei simboli di una ricostruzione che, alla vigilia dei 15 anni dalla tragedia del terremoto, è ancora lontanissima dal completamento. È dal 6 aprile del 2009 che la vivacità culturale del capoluogo abruzzese, che prima vantava una delle medie spettatori a teatro più grandi d’Italia, non sa dove mettere in scena produzioni artistiche di rilievo, almeno in inverno. Sono infatti chiusi pure i teatri più piccoli, come San Filippo e Sant’Agostino. Mentre si è arenato definitivamente il progetto di un futuristico teatro da mille posti a Piazza d’Armi, con buona pace anche degli australiani, che con una raccolta fondi solidale avevano destinato 3 milioni di euro al piano di riqualificazione dell’area. Le istituzioni culturali aquilane oggi possono contare soltanto sul Ridotto del Teatro comunale, una sorta di sala laterale dell’edificio storico da 350 posti, che è appannaggio soprattutto delle produzioni del Teatro stabile d’Abruzzo guidato dai filo-meloniani Pierangelo Buttafuoco e Giorgio Pasotti. E poi – scrive il collega Luca Tomassoni – c’è l’Auditorium in legno di Renzo Piano realizzato dopo il terremoto: ha solo 240 posti a sedere e ha bisogno di importanti lavori di manutenzione che vengono rinviati da tempo. Gli altri luoghi culturali, pubblici e privati, in rari casi arrivano a superare il centinaio di posti a sedere. Ma i paradossi della Capitale della cultura 2026 non finiscono qui – conclude l’articolo – Per esempio L’Aquila non ha nemmeno le scuole: zero quelle tornate in centro città dopo il terremoto, migliaia gli alunni e gli studenti che seguono lezioni ancora oggi dopo 15 anni nei Musp, i Moduli ad uso scolastico provvisorio. Ora la missione è quasi impossibile: accelerare la ricostruzione a tal punto da recuperare il tempo perduto e finire tutto entro due anni. Almeno la sistemazione del Teatro comunale. O sarà la figuraccia italiana della cultura 2026. A gettare ombre sulla decisione finale, nei giorni scorsi, erano intervenuti il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad e il consigliere regionale del M5s, Andrea Greco, mentre più di qualcuno ha parlato di “scelta politica”. Difficile smentirli.