Continua il ciclo di interviste di Primo Piano a personaggi, che dal Dopoguerra ad oggi, hanno segnato la storia del territorio in vari campi. Questa è la volta di Florenzio Anniballe, già consigliere comunale di Agnone, esponente del Pci e dei Pds, ex segretario regionale della Cgil e assessore regionale al lavoro.
Anniballe, cominciamo con i ricordi di infanzia.
«Mio padre era sarto, comunista di ferro, come quasi tutti i sarti agnonesi, i Busico, i Patriarca. Era un sarto di alta qualità formatosi alla scuola di taglio di Milano negli anni ‘50, dopo sette lunghi anni di guerra che lo avevano visto prima al fronte in Grecia e poi internato in Germania. ‘Puoi anche cucire bene – diceva – ma se non sai tagliare il vestito non riesce bene’».
Com’era la situazione economica?
«Non florida, perché un vestito non era ritenuto un bene essenziale, era poco retribuito, tanto che per un paio di anni emigrò in Germania, lavorando sempre nel campo del tessile. Alla fine mise a frutto le sue riconosciute qualità diventando il fornitore di facoltosi magistrati napoletani che si servivano solo da lui. Mia madre lavorava con lui come collaboratrice nella bottega in Piazza Libero Serafini, mentre con mia sorella Rita abitavamo nella gloriosa via Campanella».
Con suo padre iniziò la formazione politica.
«Nella bottega dove operava insieme ad altre persone, spesso in presenza del decano mastro Giacinto Busico, si tagliava, si cuciva e si discuteva di politica. Io avevo 7 anni, li ascoltavo incuriosito e ad una certa ora, col premio di 10 lire, mi mandavano a comprare l’Unità che poi dovevo leggere ad alta voce mentre loro lavoravano, incoraggiandomi e riprendendomi quando sbagliavo a pronunciare qualche termine più difficile».
Ha vissuto la prima giovinezza in un periodo storico di notevole effervescenza.
«Agnone allora aveva una vita sociale e culturale molto intensa, con possibilità di altissima formazione e socializzazione. Ho avuto una grande frequentazione con i frati cappuccini, soprattutto con padre Aldo Parente che è stata una figura carismatica e determinante. La Gioventù Francescana (GiFra) era lo strumento con cui i monaci sapevano coinvolgere i giovani in una grande varietà di iniziative a cominciare dal teatro. In quell’epoca tutti i ragazzi agnonesi sono passati per la scuola di padre Aldo: ricordo Giuseppe Sabelli, Nicolino Delli Quadri, Rocco Sabelli e tanti altri».
Recitava?
«Ho partecipato a due rappresentazioni, la Potenza delle tenebre di Tolstoj e Processo a Gesù di Diego Fabbri, due testi teatrali di grande impegno sociale».
Poi c’era la musica.
«Avevamo formato un complesso, ‘I Serafici’. Io ero il batterista, il prefetto Francesco di Menna alle tastiere, Antonio Di Pilla cantante solista, Settimio Busico alla chitarra e Lino Pannunzio, detto Bobby Solo, alla chitarra e alla voce. Interpretavamo con buon successo le canzoni dell’epoca, i Dik Dik, i Nomadi, i Pooh, i New Trolls e grazie a padre Aldo riuscimmo a fare anche delle tournee estive nelle spiagge del meridione. Tra le fans c’era Loredana, una delle quattro sorelle Bomba, figlia di Nicola, fornaio e mecenate del calcio. L’ho sposata ed abbiamo avuto due fantastiche figlie: Roberta e Daniela».
Contraltare della GiFra era il Gruppo 38.
«Benché avessi già maturato con chiarezza le mie convinzioni politiche ho frequentato il Gruppo ’38 solo nell’ultimo periodo, occupandomi soprattutto del giornale, ‘Piazza del Tomolo’, che ho fatto uscire con il contributo di Vittorino Musilli e Alfonso Carlomagno e fondando l’Arci che si occupava di cultura, musica, sport. Dall’Arci sono nati ciclisti e maestri di sci come Antonio Mastronardi».
Nel ‘68 aveva 18 anni. Come ha vissuto quell’epoca tumultuosa?
«Ero studente universitario a Napoli, iscritto a Giurisprudenza. Confesso che studiando quasi sempre in casa e non avendo una militanza diretta trovare l’università occupata quando andavo a fare un esame non mi faceva piacere. Sicuramente i fermenti giovanili erano intensi, come la consapevolezza della necessità di un grande cambiamento sociale. Entrai in politica iscrivendomi al Partito Comunista Italiano e ricordo che fu lo stesso padre Aldo a spingermi all’impegno diretto con queste parole: ‘Vai. L’importante è che tu porti anche in quei luoghi i nostri valori’».
È iniziata così una lunga carriera politica.
«Segretario di sezione, consigliere comunale di Agnone, responsabile delle materie economiche e del lavoro, anche in virtù degli studi universitari di diritto. Questa esperienza mi ha dato l’onore di incontrare Enrico Berlinguer. Ascoltava attentamente, con una eterna sigaretta in bocca e prendendo appunti, gli interventi di tutti, fino al segretario della sezione più sperduta. Un esempio di serietà e democrazia».
Era il periodo delle Feste del’Unità.
«Si passava dalla cucina al palco dei comizi al volantinaggio in un clima collettivo di grande impegno e fervore. Le ferie praticamente non esistevano perché l’impegno politico stesso era fonte di piacere e soddisfazione».
Dopo la laurea e l’assunzione all’ufficio del Registro di Isernia, è passato all’impegno sindacale nella Cgil.
«Da segretario della Camera del Lavoro di Isernia ricordo due grandi vertenze: quella della Pantrem, una impresa tessile che, dopo aver ricevuto sostegni pubblici per 200 miliardi di lire aveva licenziato tutti i lavoratori che dopo anni di lotte facemmo reimpiegare mentre l’azienda finì in tribunale; e soprattutto la ‘Vertenza per morire’ quando riuscimmo a unire le diverse espressioni del mondo del lavoro e della società. All’epoca mettemmo al centro dell’attenzione e dell’iniziativa politica la drammatica situazione delle aree interne del Molise, già da allora neglette e dimenticate, per la salvaguardia dei servizi essenziali, della sanità, della scuola, della viabilità e del lavoro. In una grande unità di popolo, associazioni, amministrazione locali, partiti politici e dopo centinaia di assemblee portammo più di seimila persone a manifestare in piazza, a Isernia, con in testa tutti i sindaci e i due vescovi. Da Agnone partirono più di 10 pullman pieni di manifestanti. In quella occasione Michelino Carosella scrisse in un suo articolo: ‘Mannaggia Florenzio, che cosa hai combinato…’».
Poi sono venute la candidatura alla Camera col Pds nel 1994 con la raccolta di 35.241 preferenze e l’elezione a deputato mancata per un soffio. Dopodiché, nel 1995, l’approdo in Consiglio regionale.
«Per due anni, fino al cosiddetto ribaltone, sono stato assessore della prima giunta di centro-sinistra del Molise, guidata da Marcello Veneziale. Ero carico di deleghe pesanti in materia di industria e artigianato, lavoro, formazione, energia e mi sono speso con impegno per tutta una serie di provvedimenti a favore di tutto il territorio regionale ma soprattutto delle aree interne. In un periodo così breve abbiamo impegnato e reso spendibili cifre ingenti per il sostegno dell’economia locale, approvato la legge sulla montagna ed una serie di interventi a favore delle piccole e medie imprese, realizzato la metanizzazione di decine di comuni, inserito Agnone nel registro delle Città d’arte del Molise e tantissime altre cose. L’elenco delle cose fatte sarebbe ancora più lungo».
La sua esperienza amministrativa si è esaurita anche a causa delle divisioni della sinistra e di un certo ostracismo del tuo stesso partito, che nel frattempo era diventato Ds. Più volte amici e compagni l’hanno sollecitata a rientrare in campo, ma ha preferito restare in ombra. Ha rimpianti?
«Mi sento di dire che quando c’è la passione e l’adesione ad una comunità le cose si fanno volentieri anche a costo di sacrifici. Continuo a nutrire la stessa passione politica di sempre ma oggi non vedo più i luoghi dove si possa discutere, approfondire le questioni, dare una mano».
Italo Marinelli